I giovani e il Covid: “sospeso” il passaggio all’età adulta

Rapporto 2021 dell’Istituto Toniolo: in Italia record europeo di “neet”. Rischio peggioramento con la pandemia. Il 26% di chi vive con i genitori sta ancora studiando

Dedicata al 2020 dei giovani italiani la prima parte del volume “La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2021”, realizzato dall’Istituto Giuseppe Toniolo e pubblicato da Il Mulino. Una fotografia sulla modalità di frequenza in classe e nei corsi universitari ma anche sull’impatto su scelte formative, prospettive occupazionali, modalità di lavoro e progetti di vita. Più in generale, su come le giovani generazioni stanno reimpostando il loro modo di leggere la realtà in cui vivono e sugli spazi di reazione e azione positiva, individuale e collettiva, che intravedono. La seconda parte del volume è dedicata invece alle faglie di genere, territoriali e sociali, che la pandemia rischia di allargare. Compreso il divario tra presente e futuro, in particolare tra la condizione passiva di troppi giovani e le prospettive di farsi parte attiva nei percorsi di crescita del Paese. Infine, due approfondimenti, nella terza parte, sui consumi alimentari e sulle esperienze di vita comune dei giovani.

I dati descritti e analizzati nel volume – presentato ieri, 19 maggio, in un webinar promosso da Istituto Toniolo e Università Cattolica, alla presenza, tra gli altri del ministro per le Politiche giovanili Fabiana Dadone – provengono dalla principale indagine italiana sulle nuove generazioni, iniziata nel 2012, che costituisce l’asse centrale di un sistema di rilevazioni quantitative e qualitative realizzate dal Toniolo attraverso l’Osservatorio Giovani. L’obiettivo dell’edizione del 2021: contribuire a capire come cambiano condizioni oggettive e attese di fronte a un evento inatteso e di grande portata come quello della pandemia, che proietta tutti in un mondo diverso. Con la consapevolezza che proprio le nuove generazioni hanno maggiormente da perdere ma anche da guadagnare, nel nuovo scenario tutto ancora da costruire.

In un’Italia che già presentava fragilità e diseguaglianze nei percorsi formativi, professionali e di vita delle nuove generazioni, le conseguenze della crisi innescata dal Covid – 19 rischiano di essere particolarmente gravi. Specie per quanto riguarda la progettualità delle giovani generazioni, portate alla sospensione di scelte importanti legate alla transizione alla vita adulta. A fare da freno sono anzitutto l’incertezza lavorativa e il peggioramento della situazione economica che, per la maggior parte degli intervistati, impediscono la scelta di formare una propria famiglia. Tra quanti ancora vivono con i genitori, poi, il 26% dichiara che il motivo è il protrarsi dello studio. Diverse anche le difficoltà oggettive riscontrate: oltre uno su tre afferma di non vivere autonomamente perché non in grado di affrontare i costi di un’abitazione (35%) contro uno su cinque che dichiara: «Sto bene così» (20,7%). I più in difficoltà, i giovani che non studiano più ma non hanno un lavoro: i cosiddetti neet. Tra gli uomini, in particolare, la percentuale di chi si trova bloccato nel percorso di autonomia perché non può permettersi una casa è pari al 49% dei neet contro il 27% circa di chi ha un lavoro stabile. La condizione di neet – di cui l’Italia ha il record in Europa – comprime sia la valorizzazione delle nuove generazioni nei processi di sviluppo del Paese che i progetti di vita dei singoli. La pandemia ha fatto lievitare ulteriormente la loro incidenza, non solo nella fascia giovane ma anche in quella giovane-adulta (25-34 anni): dal 28,9% del 2019 al 30,7% (con un divario dalla media europea salito da 11,6 a 12,3 punti percentuali, secondo i dati Eurostat).

Maggiormente in difficoltà, stando ai dati del Rapporto 2021, quei giovani che combinano una protratta condizione di disoccupazione con una disagiata situazione economica di partenza, che presentano i livelli peggiori di “life satisfaction” e un alto rischio di esclusione sociale permanente, con la rinuncia definitiva a solidi progetti di vita. In particolare, nella fascia cruciale di entrata piena nella vita adulta, tra i 30 e i 34 anni, quasi l’80% dei neet si dichiarano insoddisfatti della propria situazione economica, contro il 42% circa degli altri giovani. E anche il programma “Garanzia giovani”, avviato nel 2004 come principale iniziativa di contrasto al fenomeno dei neet e di rafforzamento della transizione scuola-lavoro, oltre ad aver prodotto risultati non in grado di far recuperare lo svantaggio italiano rispetto al resto d’Europa, non è tutt’ora adeguatamente conosciuto. Tra i 30-34enni (che nel 2004 erano in pieno target per tale misura) quasi due su tre non ne hanno mai sentito parlare o solo vagamente ma si arriva a tre su quattro tra gli under 25.

Per Alessandro Rosina, demografo e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, «i dati sulla scarsa conoscenza di Garanzia Giovani proprio da parte dei giovani forniscono evidenza del fatto che a scuola e all’università generalmente non si parla degli strumenti principali che riguardano il lavoro delle nuove generazioni. Inoltre, solo circa la metà di chi ne ha beneficiato – ha osservato – fornisce una valutazione positiva in termini di miglioramento delle competenze e di conoscenza del mercato del lavoro». L’auspicio allora è che «la nuova Garanzia Giovani rilanciata in concomitanza con i finanziamenti di Next Generation Eu riesca a superare i limiti sperimentati in passato». Particolare attenzione, per Rosina, va data anche «ai neet tardivi (oltre i 30 anni), fuori dal target principale di Garanzia Giovani. Si tratta di una componente particolarmente problematica che a fragilità pregresse ora somma l’impatto della pandemia in una fase cruciale della costruzione della propria vita adulta. In assenza di politiche adeguate alto è il rischio di cronicizzazione di tale condizione e di diventare destinatari passivi del reddito di cittadinanza», ha concluso.

Per chi si trova in condizione di difficoltà, i dati evidenziano, ancora, un’alta propensione ad accettare qualsiasi lavoro in modo immediato, con il relativo rischio di sfruttamento e condizioni di lavoro inadeguate. La differenza si mantiene alta per la classe di età 30-34 anni: il 41,7% di chi dichiara una situazione finanziaria insoddisfacente accetterebbe qualsiasi lavoro contro il 33,3% di chi sta economicamente meglio. Per chi è in buona condizione finanziaria l’accettazione di un lavoro è molto legata alla conciliazione, soprattutto sul versante femminile, tra vita familiare e lavoro. Basti pensare che per due trentenni su tre conta no comodità degli orari e distanza da casa.

Vulnerabilità e fragilità economica colpiscono per lo più le giovani generazioni. E le prime informazioni relative agli effetti dell’emergenza Covid-19 segnalano il reale rischio di un ulteriore peggioramento. I dati dell’indagine condotta a novembre 2020 evidenziano un’alta percentuale di giovani (tra i 18 e i 34 anni) che dichiarano una non buona situazione economica personale (42,1%) mentre uno su quattro (25,3%) dà la stessa valutazione alla famiglia in cui vive. Nel complesso, la crisi sanitaria ha accentuato ulteriormente la dipendenza dalla famiglia di origine. Tra chi vive in famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza, il 46% circa ha titolo di studio basso, contro il 27% degli altri giovani. Di qui l’urgenza, evidenziata nel Rapporto, di rafforzare percorsi professionali e politiche attive del lavoro.

20 maggio 2021