I giornalisti dei settimanali cattolici pellegrini in Terra Santa

I vincitori del premio 8xmille senza frontiere a Nazareth, Betlemme e Gerusalemme per raccontare i progetti realizzati. L’incontro con il Custode Patton e il patriarca Pizzaballa

Un pellegrinaggio è per sua natura diverso da un viaggio perché la componente spirituale che lo caratterizza ne definisce lo stile e influisce sul sentire di chi lo intraprende. Se poi i pellegrini hanno come meta la Terra Santa, che custodisce i luoghi d’origine e di sviluppo della fede cristiana e, di più, delle tre grandi religioni monoteiste, appaiono adatte per descrivere questa esperienza le parole di Papa Francesco: «È il cuore che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare». Il pontefice le ha scritte nel suo messaggio per la LVII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dello scorso maggio, ricordando inoltre che «è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente». E non è difficile credere che sia stata primariamente la dimensione del cuore a caratterizzare le 6 giornate trascorse tra Nazareth, Betlemme e Gerusalemme, dal 10 al 15 settembre, dai 50 giornalisti di testate e tv diocesane aderenti alla Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc) e al circuito Corallo, vincitori del premio “8xmille senza frontiere”, in Terra Santa per visitare e raccontare i progetti realizzati grazie al contributo della Cei.

Guidati da monsignor Vincenzo Peroni, sacerdote della diocesi di Brescia in servizio alla Custodia di Terra Santa da 3 anni, i professionisti hanno avuto la possibilità di pregare nei luoghi della nascita, dell’annuncio e della morte e risurrezione di Gesù, vivendo «un pellegrinaggio sinodale fatto anche dalle loro redazioni e dalle Chiese di cui le redazioni sono espressione, mettendosi in ascolto e camminando», come ha detto Mauro Ungaro, direttore della Fisc. Dalla casa di Maria dove ha avuto luogo l’Annunciazione, a quella di Elisabetta, sulla cui soglia la Madonna ha intonato la preghiera del Magnificat; dalla basilica che conserva il luogo della mangiatoia, dove Gesù Bambino venne deposto dopo la sua nascita, al sito archeologico di Cafarnao con la sinagoga e la casa di Pietro, sede di uno dei tanti miracoli di guarigione, e fino al lago di Tiberiade, sulle cui acque il gruppo di giornalisti ha vissuto un’uscita sulla barca, come i primi discepoli di Gesù, protagonisti della pesca miracolosa e della tempesta sedata, e sulle cui sponde una chiesetta ricorda la pietra del primato dell’apostolo che rinnegò il Maestro per tre volte. Ancora, lo spostamento a Tagba per visitare la chiesa benedettina costruita in corrispondenza del luogo in cui avvenne la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e la salita al monte delle Beatitudini, per meditare sul discorso della montagna avendo negli occhi la luce limpida riflessa dall’azzurro del lago.

Le ultime due giornate prima del rientro in Italia sono state dedicate alla visita della Città Vecchia di Gerusalemme e in particolare alla spianata della moschea di Omar, localizzata nel cosiddetto “nobile santuario”, ossia l’area sacra per ebraismo, islamismo e cristianesimo, la cui cupola dorata rappresenta il simbolo architettonico della città. E poi la sosta al kotel, cioè il muro occidentale, unica porzione rimasta dell’antico Tempio di Gerusalemme. Da ultimo, i luoghi della passione di Cristo: dal monte Sion con il cenacolo all’orto degli Ulivi, per percorrere poi la Via dolorosa e pervenire infine al luogo della flagellazione e a quello della deposizione dalla croce e della sepoltura nel Santo Sepolcro, con la venerazione del Calvario e della tomba di Cristo. A sottolineare come «la fisicità di questi luoghi – che non sono affatto accessori perché il cristianesimo è la religione dell’incarnazione – è una benedizione contro il rischio di un cristianesimo intellettuale» è stato padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, che nell’incontro con i giornalisti, il 13 settembre, ha appunto messo in luce come «custodire una memoria fisica è dare tridimensionalità alla bidimensionalità delle pagine del Vangelo, che parla in ogni tempo». Per il religioso, però, si tratta primariamente di «custodire la vocazione dei miei frati» affinché «aiutino le persone nell’incontro con Cristo», avendo perciò «cura della locale comunità cristiana» che, seppure una minoranza, «deve imparare a non avere paura» e a «dire quello che dobbiamo dire».

Lo stesso invito a «dire, come Chiesa, una parola chiara di orientamento in un tempo di grandi cambiamenti» è venuto dal patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, che aveva accolto i giornalisti nella mattina dello stesso giorno, riflettendo con loro sulla situazione politica e sociale di Gerusalemme, «ombelico del mondo da un punto di vista religioso, storico e culturale». In particolare, il patriarca ha osservato come relativamente alla guerra tra Israele e Palestina, rispetto alla quale auspica «una pace audace, ossia quella in cui ciascuno, per un bene più grande, è disposto a rinunciare a qualcosa», non si è mai considerato quanto per i due Stati si tratti fondamentalmente «di un desiderio di implementare un diritto religioso».

18 settembre 2023