I “dolori” di Margherite Duras nel film di Finkiel

Tra rabbia e smarrimento, in vista del Giorno della Memoria, nelle sale la storia di un “dolore” profondo e toccante, come una sorta di male assoluto

Margherite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, nasce il 4 aprile 1914 a Saigon in quella che era allora l’Indocina francese, oggi Vietnam, figlia di un dirigente scolastico e di un’insegnante. Arriva in Francia solo nel 1932 dopo un’infanzia attraversata dalle esperienze tipiche della società coloniale che travaserà nei suoi racconti e romanzi. Nel 1939 sposa lo scrittore Robert Anteilme, che segnerà la sua vita futura. Durante l’occupazione nazista partecipa alla Resistenza insieme al marito che verrà deportato a Dachau. Proprio dal momento in cui, prigioniero Robert, Duras è sola a Parigi, prende il via “La douleur”, tratto da un romanzo autobiografico proveniente da un diario rimasto nascosto e dimenticato per anni, pubblicato in Francia nel 1985.

Il film, valida occasione per ricordare l’imminente Giorno della Memoria e per tornare a parlare di una scrittrice ribelle e (almeno in Italia) un po’ dimenticata, è nelle sale dal 20 gennaio. Cogliamo Marguerite intenta a camminare per le strade di una Parigi quasi tranquilla, eppure con la morte nel cuore per il peso del pensiero del marito lontano e irraggiungibile. In un bistrot si incontra con Rabiot, uno dei collaboratori del governo di Vichy, che prova attrazione per lei e le promette di aiutarla. Quando è più appartata, scambia accorate parole con Dionys, amico e compagno che cerca di metterla in guardia dalla frequentazione di Rabier e dal suo possibile doppio gioco rivolto ad avere informazioni riservate. Così Marguerite finisce per essere stretta tra due uomini, con il terzo lontano e irraggiungibile. Da questa situazione, che si fa sempre più difficile e insostenibile, prende il via il vero nodo drammatico della vicenda, appoggiato a un film dal dolore forte e di acuta intensità. La narrazione trova il punto più alto nell’inserire l’argomento “Olocausto” non nel logico e ovvio tema della storia martoriata dal nazismo ma in quelli più stranianti dell’individuo vittima in ogni tempo e in ogni luogo di abusi, violenze, privazioni.

Il copione, scritto dallo stesso regista Emmanuel Finkiel, ha il merito quindi di non fermarsi alla semplice esposizione dei fatti ma di allargare lo sguardo verso un orizzonte più ampio, quello dove avvertiamo la presenza di un “dolore” profondo e toccante, come una sorta di male assoluto che serpeggia dentro la coscienza collettiva dell’universo. Una riflessione che trova il punto culminante quando Marguerite se la prende con se stessa per essere ancora viva, e quando dubita dell’esistenza del marito, scambiando la sua attesa per una brutta favola.

Nel ruolo di Marguerite troviamo Mélanie Thierry ( nella foto), che affronta e risolve il personaggio con indubbia maestria e forte capacità introspettiva. Resta impressa la sua espressione di smarrimento, di fronte all’impossibilità di avere notizie del marito, e la sua rabbia per aver in qualche misura ceduto al “nemico” che la lusinga e la circuisce. Film dunque molto ben realizzato e proposto, adatto per un pubblico ampio, con agganci per riflessioni e dibattiti sui vari temi affrontati.

22 gennaio 2019