I cristiani del Pakistan chiedono la canonizzazione di Shahbaz Bhatti

A 5 anni dalla morte del primo e unico ministro federale per le minoranze religiose, il pronunciamento della conferenza episcopale locale

A 5 anni dalla morte del primo e unico ministro federale per le minoranze religiose, il pronunciamento della conferenza episcopale locale

Shahbaz Bhatti è stato il primo e l’unico ministro federale per le minoranze religiose del Pakistan. Il 2 marzo 2011 veniva ucciso dai fondamentalisti. Da allora «il ministero è stato declassato a semplice dipartimento del ministero per gli Affari religiosi. In questo modo né i cristiani, né gli altri non musulmani hanno alcuna rappresentanza politica. L’unico ministro federale cristiano è quello per la Navigazione, che non ha possibilità di intervenire sulla condizione delle minoranze religiose». A parlare è Shahid Mobeen, docente di pensiero e religione islamici presso la Pontificia Università Lateranense e amico del ministro pachistano ucciso.

Mobeen descrive alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre la situazione delle minoranze religiose a cinque anni dall’assassinio di Bhatti. «La condizione – dice – è nettamente peggiorata. Sia per il maggior numero di attacchi ai loro danni, sia per la mancanza di rappresentanza a livello federale». Alla difesa dei diritti dei non musulmani, dichiara, Bhatti aveva dedicato la vita, accettando nel 2008 la carica di ministro federale, «unicamente perché desiderava che le minoranze potessero contribuire alla crescita del paese. Purtroppo – aggiunge – in Pakistan l’esercizio di cittadinanza dei non musulmani è impedito perfino a livello legislativo».

Oggi, a 5 anni dalla sua morte, i cristiani del Pakistan chiedono a gran voce l’apertura della causa di canonizzazione del ministro cattolico. Una richiesta firmata all’unanimità dalla Conferenza episcopale pachistana e giunta a Roma subito dopo l’assassinio. «La Santa Sede ha autorizzato l’apertura di un’indagine che deve essere condotta dal vescovo della diocesi nella quale è accaduto il martirio, ovvero quella di Islamabad-Rawalpindi. Purtroppo però la diocesi è sede vacante da oltre due anni». Dall’indagine compiuta è emerso un documento a firma del padre spirituale di Shahbaz Bhatti, il vescovo Anthony Lobo, emerito di Islamabad-Rawalpindi. «Il presule – prosegue Mobeen – mi ha consegnato personalmente una sua lettera in cui afferma che un paio di anni prima della sua morte Shahbaz era divenuto un laico consacrato».

Una notizia, questa della consacrazione, sulla quale il ministro aveva mantenuto il riserbo, così come sulla scelta di rinunciare ad una famiglia per portare avanti la sua causa. Alla base, probabilmente, la consapevolezza dei rischi a cui andava incontro, compreso quello di essere ucciso. «Nonostante ciò era una persona estremamente solare e positiva. Lo rattristavano soltanto le persecuzioni e le discriminazioni ai danni delle minoranze religiose». Proprio per questo la sua principale battaglia, da ministro, è stata quella contro l’abuso della cosiddetta legge antiblasfemia, la norma corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano che puniscono con l’ergastolo chi profana il Corano e con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto. «Quando il caso di Asia Bibi, per la cui liberazione Shahbaz si era molto speso, esplose a livello internazionale, l’allora presidente Zardari lo nominò presidente della commissione per la revisione della legge. Avrebbe dovuto mettere a punto provvedimenti che limitassero un uso improprio della norma. Ma purtroppo i suoi assassini, forse  talebani, non glielo hanno permesso».

25 febbraio 2016