I collaboratori scolastici e la scuola come comunità

L’importanza del ruolo di queste figure che con la propria presenza va ben oltre il semplice tenere in ordine e nel decoro gli spazi

L’altro giorno, uscendo dall’aula sul corridoio, mi è capitata davanti agli occhi una scena che, qualche volta, in molti devono avere visto a scuola. C’era una studentessa seduta su una sedia accanto al tavolo della collaboratrice scolastica, la ragazza era in lacrime, o forse già alla fine di un pianto, la donna stava in piedi di fronte a lei, le offriva dell’acqua in un bicchiere di plastica, le parlava con tono tranquillo e con il sorriso sul volto. Alla mia espressione interrogativa se ci fosse bisogno di un intervento, la collaboratrice mi ha rassicurato con lo sguardo, facendomi intendere di non averne bisogno. A quel punto sono sfilato via verso le scale, con la tranquillità, o meglio la certezza, di avere lasciato la studentessa, che forse aveva pianto per una verifica andata male, in ottime e fidate mani.

La scena in sé, comune, irrilevante per qualcuno, «ché certo caro mio bisognerebbe parlare d’altro in questo tempo quando si parla di scuola», m’ha fatto tornare in mente le innumerevoli volte in cui ho considerato quanto si dica poco sulla centralità di quella figura che da ragazzino chiamavo “bidella” e “bidello” ma che oggi, per quanto mi riguarda, è di nome ma soprattutto di fatto la “collaboratrice” e il “collaboratore scolastico«, ovvero quella persona con la quale, io insegnante, lavoro insieme ogni mattina che vado a scuola.

Potrei raccontare a riguardo che io come tanti, degli anni del liceo, ricordo senz’altro la professoressa che ha lasciato un segno importante nella mia vita, ma accanto a lei, a distanza di decenni, non dimentico lo sguardo sornione di Vincenzo che ci lasciava il portone aperto qualche minuto dopo la campanella, che parlava con noi a ricreazione, tante di quelle volte incoraggiandoci e di cui tutt’ora parliamo sempre nelle nostre cene di classe dopo tanti anni che lui non c’è più. Potrei anche dire del forte senso di fastidio che ho provato spesso, e che provo tutt’ora, quando per primi noi docenti non riconosciamo il rispetto e il debito dovuti a chi con la propria presenza va ben oltre il semplice tenere in ordine e nel decoro gli spazi.

Ma al di là del vissuto personale, fermarmi a considerare il valore imprescindibile dei collaboratori scolastici, di ognuna delle figure che popolano le nostre scuole e che semplicisticamente noi troppo spesso riduciamo al binomio fuorviante docenti-alunni, significa per me riaprire gli occhi su quanto la scuola sia anzitutto comunità, perché impresa comune, collettiva, fatta di persone con ruoli e funzioni diverse, ma tutte concorrenti all’unico scopo di apparecchiare un futuro degno e migliore per la società intera. Così l’altro giorno, per questa e mille altre considerazioni fatte mentre scendevo le scale, a un certo punto ho pensato come in un tempo in cui quando si parla di scuola si dice guerra, il mio gesto più rivoluzionario sarebbe stato, per una volta, quello di portare io il caffè alla collaboratrice scolastica, ché in quella situazione, di fronte a quella ragazza, era stata lei a fare scuola a me.

26 gennaio 2022