I 50 anni di Humanae vitae

Il 25 luglio 1968 veniva pubblicata l’enciclica di Paolo VI sulla dottrina della Chiesa legata al «gravissimo dovere di trasmettere la vita umana». L’accoglienza difficile in Italia e la carica profetica

Compie 50 anni l’Humanae vitae, l’enciclica di Paolo VI pubblicata il 25 luglio 1968, dedicata all’amore coniugale e alla dottrina della Chiesa sul matrimonio e sul «gravissimo dovere di trasmettere la vita umana», per il quale «gli sposi sono liberi e responsabili collaboratori di Dio creatore». Mezzo secolo dopo, la riflessione su amore e fecondità voluta da Papa Montini, e accompagnata da un’accoglienza difficile nel clima culturale del ’68, resta centrale nella vita della Chiesa e non solo. A cominciare da quel primo capitolo dedicato agli «aspetti nuovi del problema e alla competenza del ministero», seguito da altri due capitoli sui «principi dottrinali» e sulle «direttive pastorali».

«Questo documento pontificio non è soltanto la dichiarazione d’una legge morale negativa, cioè l’esclusione d’ogni azione che si proponga di rendere impossibile la procreazione, ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità». Lo stesso Paolo VI spiegava così gli obiettivi di Humanae vitae nella prima udienza generale dopo la pubblicazione del testo, nell’Aula del Palazzo pontificio di Castel Gandolfo. Il documento infatti ribadisce la connessione inscindibile tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale; dichiara anche l’illiceità di alcuni metodi per la regolazione della natalità (aborto, sterilizzazione, contraccezione) e approva invece quelli basati sul riconoscimento della fertilità.

Nei 31 paragrafi che compongono il primo capitolo vengono indicate «le caratteristiche dell’amore coniugale», della «paternità responsabile», e, ancora, si parla del rispetto della «natura e della finalità dell’atto matrimoniale». Poi, nel secondo capitolo, l’attenzione si focalizza sulle «vie illecite per la regolazione della natalità» e, di contro, sulla «liceità dei mezzi terapeutici» e del «ricorso ai periodi infecondi». Nel terzo capitolo, una serie di appelli rivolti ai «pubblici poteri», agli «uomini di scienza», agli «sposi cristiani», ai «medici e al personale sanitario», ai «sacerdoti» e ai «vescovi». Da ultimo, l’appello ai «venerati fratelli, dilettissimi figli, e a voi tutti, uomini di buona volontà» sulla «grande opera di educazione, di progresso e di amore alla quale vi chiamiamo».

Quando l’enciclica fu resa nota, ricorda in una nota pubblicata oggi dall’Agenzia Sir il vescovo Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei cardinali, «la reazione dell’opinione pubblica non fu favorevole. Critiche e rilievi vennero anche dall’interno della Chiesa». Di queste difficoltà riguardo all’accoglienza del documento «Paolo VI fu da sempre ben consapevole», ricorda il presule, così come lo era «dell’ineludibilità del suo dovere di proclamare la dottrina cristiana». In quell’invito a una regolamentazione naturale delle nascite che avrebbe salvato la salute delle donne, il rapporto di coppia e la naturalità della procreazione, c’era una carica profetica che trovò invece «un’accoglienza sostanzialmente positiva nei Paesi del Terzo Mondo e in particolare in America Latina». E che ancora oggi stimola, interpella e “provoca” con la sua proposta di un amore «pienamente umano, fedele ed esclusivo e fecondo».

25 luglio 2018