Hopkins, il cantore della natura

Intellettuale sofisticato, convertito a Oxford rimettendosi nelle mani del cardinale Newman, sa passare dall’inno mistico al dettaglio di realtà. Le liriche più celebri raccolte da Viola Papetti

Chi mai potrebbe sentire l’annuncio del sacro guardando precipitare un torrente giù dalle rocce fino al lago stagnante, se non Gerard Manley Hopkins (Stratford, 28 luglio 1844 – Dublino, 8 giugno 1889), ancorato alle origini del mondo moderno? Viola Papetti ci regala una scelta essenziale delle sue più celebri liriche: Poesie (Einaudi, 2022, con uno scritto suggestivo di Giorgio Manganelli). Acqua, schiuma, cespi d’erica, tronchi, vento, scaglie: «Che sarebbe il mondo, una volta privo / dell’acquatico e del selvatico? Che restino, / che restino, selvatico e acquatico; / lunga vita alle erbe e anche al selvatico». “Wildness and wet”: ecco quale era l’intraducibile originale, secondo un’espressione di Beppe Fenoglio che amò questo poeta, sacerdote gesuita, morto nell’esilio irlandese, anch’egli a poco più di quarant’anni. E fu proprio il nostro scrittore partigiano a comprendere nel profondo, pur essendo ateo, la fede di Hopkins: «Dio è il suo tema. Egli lo vede camminare nella tempesta dei suoi passi, lo vede che tutto si contiene nella fossetta sulla gota d’un bambino».

Figlio primogenito di una famiglia aristocratica e colta, intellettuale sofisticato, Gerard s’era convertito a Oxford rimettendosi nelle mani del cardinale Newman con la fiducia di un povero questuante. Bruciò il proprio talento al fuoco celeste: senza disperderlo, anzi rafforzandolo. Non vide la pubblicazione dei suoi versi che leggeva soltanto a pochi amici fidati, i quali peraltro non sempre gli concedevano i riscontri desiderati. La sua prima operetta, Il naufragio della Deutschland, dedicata alla memoria di cinque suore francescane affogate nel mare del Nord mentre da Brema stavano andando in America, è uno sfolgorio di luci intense e soffuse: «Tu mi domini / Dio! che dai pneuma e pane; (“breath and bread”) / riva del mondo, ritmo del mare; / signore dei vivi e dei morti…»: così leggiamo nel grande Introito.

Hopkins sa passare dall’inno mistico («Sia gloria a Dio per le cose chiazzate» – Eugenio Montale aveva tradotto: «per le cose che ha spruzzate»; Beppe Fenoglio: «per le cose variopinte») al dettaglio di realtà («e tutti i mestieri, con livrea e attrezzatura e foggia» – Montale: «e tutti i traffici e gli arnesi»; Fenoglio, forse il migliore: «e per tutti i mestieri, e lor ferri e strumenti»). È il cantore della natura trionfante, quando «l’uovo di tordo pare un piccolo cielo basso». Il mago delle allitterazioni: «Cloudpuffball, torn tufts, tossed pillows… Fungo di nube, ciuffi strappati, guanciali gettati…». Il re dell’assonanza: «Nothing is so beatiful as Spring… Niente è bello quanto la primavera». Ammira l’allodola, compiangendola se è reclusa in gabbia. Esulta con Maria: «Chiedilo a lei, madre potente». Si commuove di fronte alla prima comunione del trombettiere. Sogna, come tutti noi oggi, una pace vera: «Certo a volte vieni; ma / quel boccone di pace è poca pace».

6 giugno 2022