Hikikomori, disagio e isolamento. Ecco come aiutare le famiglie
Necessario un processo di ricostruzione educativa. Fondamentale l’ascolto del ragazzo e della sua esperienza di sofferenza, calibrando la realizzazione in base alle sue possibilità
I nostri ragazzi vanno compresi nel senso profondo dell’essere presi con sé per poter entrare nella loro esperienza con l’intenzione di percepire la realtà come la vivono ed esperiscono. Vanno guidati, accompagnati anche laddove il terreno si fa scivoloso e impervio per abitare dimensioni di vita di cui spesso non si ha nemmeno sentore combattendo la paura dell’ignoto perché ciò che non si afferra incute il timore di non poterlo gestire e controllare. Un fenomeno complesso e profondo nelle sue sfaccettature relazionali, familiari e sociali è quello degli Hikikomori, sviluppatosi in Giappone verso la fine degli anni ’80 in assenza totale di informazione e conseguente formazione nel gestirlo. Ragazzi e ragazze parevano scomparire nel nulla, scollegati dalla vita familiare e lontani da quella scolastica e sociale. Il termine “Hikikomori” delinea una situazione di isolamento, di ritiro dalle relazioni cercando conforto nella solitudine della propria stanza nella quale i ragazzi finiscono per barricare anche la propria vita affettiva ed emotiva lontani dal contatto con i genitori e con la famiglia più stretta.
Criteri base di questo fenomeno, sviluppatosi poi anche in altri paesi economicamente e industrialmente più sviluppati compresa l’Italia dove è in rapida ascesa, vedono uno stile di vita basato sulla mancanza di alcun interesse per la vita scolastica, sociale e lavorativa per un tempo finestra di almeno sei mesi. Si parla di ritiro sociale in assenza di altre patologie quali la dipendenza da Internet (più una conseguenza che un fattore scatenante), la depressione, la fobia sociale o la schizofrenia. Gli Hikikomori non sono eremiti in quanto mantengono una sorta di socialità alternativa basata su relazioni digitali in assenza della componente fisica.
Cosa spinge allora un ragazzo a “trasformarsi” in un Hikikomori? Molte sono le sfumature del problema ma sostanzialmente sono riconducibili a un bisogno di fuga dal malessere sperimentato nel contesto sociale unito a una perdita di significato dell’esperienza esistenziale e di un senso che motivi a viverla. Il desiderio di fuga appare dettato dall’allontanamento da un microcosmo familiare e sociale in cui i ragazzi non si riconoscono e di cui non riescono a condividere i valori rinchiudendosi nel piccolo nido sicuro della propria stanza. È tuttavia errato considerare Hikikomori solo chi non esce di casa in quanto questa attitudine è solo la fase finale di un percorso che ha inizio nella fatica di abitare la realtà, se non per consuetudine o obbligo con l’intento, cosciente o meno, di fuggire alla pressione sociale, alla ricerca di perfezionismo e a livelli di performance sempre più elevati e soprattutto non proporzionati alle effettive risorse del ragazzo. L’Hikikomori soffre di un disagio nelle relazioni interpersonali che vengono costruite a fatica o evitate per mancanza di fiducia nell’altro e per la paura di essere giudicato da amici, insegnanti, dalla società in generale.
La via di fuga, rappresentata dall’isolamento, diventa l’unico modo per alleviare la sofferenza e il senso di solitudine nel non riconoscersi uguale agli altri. Spesso si tratta di ragazzi totalmente immersi nel mondo sociale grazie alla rete in cui l’attività più comune e diffusa è quella dei videogiochi, delle chat e dei forum che consentono una relazione al sicuro dal rischio di fallire, tema insostenibile per l’Hikikomori che vive in una società fortemente competitiva e performante: meglio abbandonare la realtà che correre il pericolo di sbagliare e deludere le aspettative dell’ambiente familiare e sociale. Per affrontare il problema occorre un percorso educativo che parta dal sostegno delle famiglie perché, a loro volta, possano rappresentare una risorsa valida per il recupero dei figli. Occorre lavorare sul senso di vergogna che tali famiglie provano davanti al figlio isolato facendoli sentire supportati nel loro compito educativo. Fondamentale è l’ascolto del ragazzo e della sua esperienza di sofferenza anche se il contatto è reso difficile proprio dall’isolamento. Occorre essere presenti, interlocutori validi nella costruzione della motivazione a vivere ed elaborare un progetto esistenziale che preveda, con i giusti tempi e senza nessuna forzatura, il ritorno alla vita sociale.
Importante è liberare il figlio dal peso di aspettative troppo elevate calibrando la realizzazione in base alle sue possibilità e interessi e sostenendolo nelle fasi evolutive delicate come il passaggio alla scuola media e superiore e il periodo del post diploma che dovrebbe aprirlo al mondo lavorativo e alle sue responsabilità. Bisognerà lavorare sul senso del fallimento come opportunità a ricalibrare il cammino mettendo in guardia dalla tendenza nevrotica alla performance a danno della costruzione di un forte senso esistenziale in grado di rispondere ai nuovi perché della vita. In tale delicato percorso di ricostruzione educativa sarà importante per i genitori mettersi in rete con altre famiglie condividendo gioie e dolori di un cammino che, se non vissuto in solitudine, può assumere un peso e una risoluzione diversa. A tal proposito segnalo l’esistenza dell’associazione Hikikomori Italia che può rappresentare un valido aiuto, ascolto e supporto dell’intero tessuto familiare, vera risorsa del recupero del figlio e del suo reinserimento relazionale e sociale. (Alessandra Bialetti, consulente familiare)
27 maggio 2022