Hassan, dall’orrore della guerra alla solidarietà di Roma

Storia di una famiglia palestinese, ospite di una parrocchia del settore Nord, raccontata da una testata Usa. Dal Papa un computer per i bambini

La storia di una famiglia palestinese ospite di una parrocchia del settore Nord raccontata da una testata statunitense. Un computer donato dal Papa per i bambini

Addosso porta i segni visibili della guerra: un colpo d’arma da fuoco che gli ha trapassato il braccio mentre era in Libano, dove lavorava come infermiere. Origini palestinesi, Hassan è nato però in un campo profughi nella terra dei cedri. Qui ha resistito, lavorando nel putiferio delle bombe, fino a che nel 1986 si è visto costretto ad andare in Libia, alla ricerca di un lavoro e di un destino migliore. Lì conosce la donna della sua vita, Adiba, di padre palestinese e madre egiziana. I due si sposano e mettono al mondo quattro bambini. Grazie al lavoro in un ospedale, Hassan compra una casa e per un po’ gestisce anche una piccola fattoria.

A rompere gli equilibri è però di nuovo la guerra che manda all’aria ogni sogno. A sorreggerlo è la fede, dice Hassan, musulmano, mentre ha prova della solidarietà di una parrocchia del settore Nord, in un popolato quartiere di Roma, che gli ha concesso un piccolo appartamento di due stanze dove poter vivere con la famiglia. E dove i bambini possono studiare anche con il pc portatile, donato loro dal Papa tramite l’elemosiniere Krajewski, e accedere a internet grazie alla connessione wifi concessa dal parroco, don Marco. A raccontare la loro storia, nei giorni scorsi, l’intervista dell’agenzia statunitense Catholic News Service.

Non è questa, spiegano alla giornalista americana Cindy Wooden, la vita che Hassan e Adiba sognano per loro. Prima di arrivare in questo appartamento romano in realtà hanno vissuto in Svezia per 15 mesi. Poi gli attentati di Parigi hanno rimescolato le carte ancora una volta. «Sono vittime – spiega il parroco – del regolamento di Dublino», la normativa europea che impone l’esame delle richieste d’asilo dei migranti al primo Paese di sbarco. In seguito agli attentati di Parigi, i governi che non avevano fatto rispettare l’accordo hanno dovuto allora provvedervi.

Tutto, raccontano al Catholic News Service, è iniziato il 5 settembre 2014. Sborsando diverse migliaia di euro, quel giorno la famiglia di Hassan si è lanciata nella disperata traversata del Mediterraneo a bordo di un peschereccio straripante di uomini e donne in fuga dal proprio passato di povertà, orrori e violenze. In tutto – poi si è appurato – circa 350 persone, messe in salvo da una nave italiana che le ha condotte al porto di Bari. Prese le loro impronte digitali, vengono rilasciati. Hassan e Adiba raggiungono Milano in treno e da lì si spingono fino in Svezia, dove fanno domanda di asilo. Il governo locale assegna loro un’abitazione e un sussidio mensile. I bambini riescono ad integrarsi frequentando la scuola  ma, trascorso un anno, Hassan viene avvertito che dovrà ritornare in Italia, perché è lì che sono state registrate la prima volta le sue impronte digitali.

La strage di Parigi fa precipitare gli eventi e così, una notte, Hassan insieme alla moglie e ai bimbi vengono prelevati dalla loro casa e rispediti a Roma. All’aeroporto di Ciampino dormiranno per un paio di giorni finché verranno a sapere di un centro di accoglienza in città, gestito dalla Croce Rossa e da volontari. Lì, hanno spiegato alla giornalista statunitense, conoscono don Marco che, rispondendo alla chiamata del Papa di accogliere in ogni parrocchia almeno una famiglia di profughi o rifugiati, propone loro una sistemazione dignitosa in questo appartamentino. Con il sostegno della comunità e di altri benefattori: donazioni sono possibili attraverso il sito della Caritas diocesana, nell’area Donazioni.

29 marzo 2016