Gravi traumi psicologici per i bimbi fuggiti dall’Isis

A lanciare l’allarme è Save the Children, che sta supportando questi bambini in particolare nel campo profughi di Al Hol, dove è arrivata gran parte delle persone sfollate. Evidenti segni di disagio specie tra i 10-14enni

Nervosismo, estraniazione, aggressività, incubi ed enuresi notturna. Segnali di un disagio psicologico particolarmente evidenti nei bambini – specie in quelli tra i 10 e i 14 anni -, siriani e stranieri, che hanno recentemente raggiunto i campi profughi nel nord-est della Siria dopo essere fuggiti dalle zone in mano all’Isis. A lanciare l’allarme su questo stress psicologico è Save the Children,che sta supportando questi bambini e minori non accompagnati negli spazi predisposti per loro, in particolare nel campo profughi di Al Hol, dove è arrivata la gran parte delle persone sfollate a seguito dell’offensiva nelle ultime zone controllate dall’Isis. Molti di questi piccoli, affermano gli operatori, «avranno bisogno di un sostegno specifico a lungo termine per la loro salute mentale e di supporto psicosociale per superare i traumi che hanno subito».

Hanno assistito ad atti brutali e vissuto sotto bombardamenti intensi, in condizioni di deprivazione estrema. Bambini senza più un’infanzia. Come Mai – nome di fantasia per proteggere una storia reale -, che ora vive in un campo profughi nel nord est della Siria. Della vita con la sua famiglia sotto il controllo dello Stato islamico ricorda le decapitazioni e gli atti di violenza a cui ha assistito. E parla del suo fratello maggiore, rinchiuso 4 anni da dall’Isis, quando aveva 16 anni, di cui da allora non si sono più avute notizie. «Hanno bruciato la nostra casa per stanarci – ricorda -, poi non abbiamo più potuto andare a scuola, i prezzi della verdura sono saliti alle stelle e la fame si è fatta sentire. Ovunque vedessero una donna parlare con un uomo veniva lapidata, e decapitavano i prigionieri di fronte ai loro familiari». Poi aggiunge: «Ho sempre cercato di non guardare quando c’erano le decapitazioni, nascondendomi dietro a mia madre».

Il momento peggiore è la notte. Hassan, uno degli operatori del team di Protezione minori dell’organizzazione, spiega perché: «Per loro il buio significa attacchi aerei e bombardamenti, e non riescono a rendersi conto che sono in un campo profughi, al sicuro dai combattimenti». Non solo: «I ragazzini che supportiamo – aggiunge – mostrano una grande paura degli altri e non si fidano, non riescono a parlare di quello che hanno vissuto e si isolano senza riuscire a socializzare». Per accelerare il loro recupero, necessitano di servizi di supporto di salute mentale e psicosociali in un ambiente protetto, insieme alla preservazione del nucleo familiare e all’educazione. «Molti bambini arrivati ad Al Hol sono sfollati più volte con le loro famiglie e decine di loro hanno raggiunto il campo dopo essere rimasti soli – riferisce Sonia Kush, direttore di Save the Children per la Siria -. Si sono spostati da rifugi di ogni tipo a tende, e poi da città a campi profughi; il loro senso di casa e appartenenza è scomparso. Per mesi o anni sono stati privati del cibo necessario, della scuola e dell’assistenza medica. Qui stiamo cercando di rispondere al meglio ai loro bisogni ma bisogna fare molto di più per loro». Quello che serve, continua Kush, sono «fondi e servizi di protezione specifici caso per caso, e per i bambini stranieri il rimpatrio nei loro Paesi di origine,».

Save the Children, che in occasione del suo centenario ha lanciato la campagna “Stop alla guerra sui bambini”, è presente con i suoi interventi per i minori non accompagnati, i bambini e le loro famiglie nei 3 campi di Al Hol, Ain Issa e Roj nel nord-est della Siria. Per sostenere gli interventi dell’organizzazione nel Paese è possibile consultare la pagina web dedicata.

27 febbraio 2019