“Grandi illusioni”, il valore dell’attesa

Nelle pagine dello scrittore londinese, il sentimento di un’inesausta curiosità per ciò che potrebbe esserci dietro le nostre maschere. Il ruolo fondamentale della scrittura

In un romanzo come Here We are di Graham Swift, tradotto in italiano da Serena Prina per Neri Pozza con il titolo Grandi illusioni (pp.159, 17 euro), a contare non è tanto la vicenda tematica quanto la scrittura che questa scatena. Se infatti ci limitassimo a riferire la trama dell’ultima opera di Graham Swift, nato a Londra nel 1949, uno dei più interessanti scrittori inglesi contemporanei, rischieremmo di non cogliere l’essenza più intima del suo lavoro.

Nell’estate del 1959 due amici, attori e illusionisti, Ronnie (soprannominato il Grande Pablo) e Jack, s’innamorano della stessa ragazza, Evie, pronta ad assisterli nelle loro rappresentazioni teatrali, peraltro molto apprezzate e applaudite dal pubblico balneare, a Brighton, sulla costa meridionale. Lei, dopo essere stata fidanzata con Ronnie, che scompare per sempre in modo misterioso negli istanti successivi all’ultimo spettacolo, si unisce a Jack, insieme al quale dividerà l’esistenza. Alla morte del marito, ormai anziana, torna con la memoria all’enigma di quella lontana estate: «Adesso avrebbe settantotto anni, Ronnie Deane. O il Grande Pablo. In qualsiasi momento poteva semplicemente entrare dalla porta. Ma lei ha avuto questo stesso pensiero, troppe volte per poterle contare, a proposito di Jack. È una delle tentazioni, delle torture del cordoglio… Come potevi sopportarlo, come potevi vivere, senza quest’illusione allettante, salvifica?».

Nel primo libro di Swift, Il paese dell’acqua (Garzanti, 1986), il protagonista, professore di storia, rivolto ai suoi allievi, esclama: «Ricordate quella volta che vi ho domandato come si muove l’uomo? Un passo in avanti, un passo indietro (e a volte un passo di lato). Non è assurdo? No, perché se non facesse mai quel passo avanti…». Ecco dove intende arrivare il nostro narratore: vuole farci appoggiare la schiena su una parete che crolla. È sempre stato così anche in altri suoi romanzi: Via da questo mondo (Garzanti, 1990), che potrebbe essere letto persino come una riflessione sul potere deformante della fotografia; Ultimo giro (Feltrinelli 1999), la storia di quattro uomini che si mettono in viaggio per gettare in mare le ceneri di un quinto; La luce del giorno (Feltrinelli, 2003), cupo noir esistenziale, quasi il rovescio drammatico dell’investigazione; Un giorno di festa (Neri Pozza, 2016), sull’avventura sentimentale di un’indimenticabile domestica.

Ma forse in Here We are cresce pure il sentimento di un’inesausta curiosità per ciò che potrebbe esserci dietro le nostre maschere. Come accadeva a chi, seduto in platea ad ammirare i trucchi di Ronnie ed Evie, non riusciva a staccare lo sguardo da loro: «Non si sapeva mai che cosa sarebbe potuto accadere subito dopo. Questo fatto in sé divenne parte dell’attrazione ». Il significato della vita dovremmo trovarlo nell’attesa prima che nella scoperta. Il romanzo di Swift simula tale convinzione.

1° febbraio 2021