Google down, evento che interroga sui nostri destini

Il recente crash temporaneo dei servizi rimanda a questioni serie su processi rapidi che hanno a che fare con la nostra libertà e le nostre relazioni

Non sono stato studente in quegli anni, i Settanta e gli Ottanta, in cui avrei potuto tentare di fare chiudere la scuola da una cabina telefonica, annunciando un fantomatico allarme bomba con la voce fantozzianamente camuffata, pur di saltare la verifica di matematica. Al massimo, la mia generazione s’è dovuta accontentare dei ben più prosaici topi avvistati in classe, o peggio delle inutili cimici rinvenute sotto i banchi, che peraltro, e a mia memoria, non hanno mai fatto chiudere un bel niente. Ma bombe o cimici che fossero, va da sé che il sogno diurno dell’interruzione farlocca, non preventivata e traumatica della mattinata scolastica abbia da sempre tenuto vivo il desiderio di generazioni di studenti di fare suonare anzitempo il suono dell’ultima campanella.

Mi chiedo se il crash dei servizi del noto colosso avvenuto lunedì mattina abbia sortito negli studenti d’oggi la stessa botta di adrenalina che devono avere provato quelli di una volta, in quelle rarissime volte in cui un preside è uscito sul cortile o ha girato per le classi per annunciare l’imprevisto «tornate tutti a casa». Eh sì che in rete, fin dal primo pomeriggio, in molti nella mia bolla social d’insegnanti hanno iniziato a raccontare di verifiche a distanza svanite nel buio dello schermo, con la stessa euforia e lo stesso sarcasmo con cui, presumo, gli studenti devono avere riempito le proprie chat e i propri canali celebrando il regalo inaspettato e grandioso del presunto hacker.

 Ma al di là del fatto in sé, quanto avvenuto lunedì mattina credo che abbia un risvolto simbolico non indifferente e che rimanda a questioni ben più serie degli apprendistati, passati o presenti, dei sabotatori scolastici. Solo a volere essere forzatamente miopi, si potrebbe eludere l’evidenza che questo Duemilaventi abbia determinato il definitivo e forzato ingresso dei grandi colossi digitali privati nella scuola, che di colpo è stata traslocata dentro mura virtuali private. Solo a volere assumere la postura degli indovini danteschi, con la testa volta all’indietro, credo sia possibile eludere l’evidenza di scuole (a volte anche docenti) letteralmente brandizzate da soggetti privati, fino all’ingresso per la porta principale di modelli didattici veicolati dal mezzo, dalla forma, che si sa, è sempre contenuto sedimentato.

Il tema è epocale, è complesso, e sinceramente, pur correndone il rischio avendolo sollevato, farei assolutamente a meno dell’appiattimento dello stesso alla polarizzazione scema tra presunti luddisti fuori tempo massimo del digitale e talebani dell’apertura incondizionata alle praterie dell’infosfera. Credo invece che tutti dovremmo interrogarci profondamente e continuamente su tali questioni, pretendere da noi stessi un punto di vista ragionato e consapevole, non perdere mai di vista, nemmeno per un secondo, processi rapidi che nel bene e nel male stanno già determinando il destino stesso della libertà e delle relazioni di noi tutti, e che, come la scuola, dovremmo mantenere sempre in grado di non essere interrotte da una telefonata alla Fantozzi o da un crash di sistema.

16 dicembre 2020