«Gmg non esaustive, bisogna coinvolgere prima di convocare»

Parla Gioele Anni, consigliere nazionale per il settore giovani di Azione cattolica e uditore al Sinodo: «I giovani vanno sfidati, per esempio con percorsi di carità, di servizio, di bene comune e impegno politico»

Gioele Anni, consigliere nazionale per il settore giovani di Azione cattolica, è uno degli uditori che partecipano al Sinodo. Romasette.it lo ha intervistato durante una pausa dei lavori.

Al Sinodo è rappresentata la Chiesa di tutto il mondo. Che impressioni ti suscita?

È una grande responsabilità, proprio perché tanti giovani si aspettano tanto dalla Chiesa e noi siamo pochi rispetto a quelli coinvolti. Però c’è anche la voglia di portare le nostre esperienze reali, concrete. Quando prendiamo la parola il primo pensiero, molto umano, è di fare bella figura davanti al Papa, ai vescovi e cardinali; però dopo i primi giorni ci siamo “sciolti” e cerchiamo di portare la nostra testimonianza di vita perché è giusto che i giovani siano rappresentati al Sinodo.

La prima settimana di lavoro è alle spalle. Che idea ti sei fatto?

Mi sembra confermato che è un Sinodo molto libero. Il Papa ha chiesto di mettere via le bozze degli interventi preparati, di aggiornarle, senza paura. Stanno emergendo riflessioni profonde, dalle quali è evidente il grande desiderio della Chiesa di ascoltare la vita dei giovani. Mi piace come si sta sviluppando il dibattito perché penso che non si ragiona in modo astratto. Soprattutto alcuni Pastori, alcune realtà ecclesiali riconoscono in questo momento di avere forse strutture non adatte a incontrare i giovani nella loro quotidianità e quindi si sta sviluppando una riflessione su cosa vuol dire ascoltare e accogliere giovani che magari non hanno più un’appartenenza, come un tempo, “ideale” alla Chiesa ma cercano testimoni credibili.

Questa carenza di strutture riguarda più l’Occidente o è generalizzata?

Ogni realtà porta la propria specificità e questa è una cosa molto bella del Sinodo e anche molto complessa: si percepisce la fatica e la bellezza di camminare insieme, le due cose non possono essere separate. Per rispondere alla domanda mi sembra che la Chiesa sudamericana abbia iniziato prima di noi a fare delle riflessioni che il magistero di Francesco porta alla luce, non è un mistero che molto dell’Evangelii Gaudium fa riferimento al documento di Aparecida. Non mi piace guardare a chi è più indietro ma a chi è più avanti e la realtà sudamericana in questo momento mi sembra che abbia qualcosa di già elaborato. C’è comunque grande disponibilità a interrogarsi e una cosa che sta emergendo è che la Chiesa non deve essere omologata. È una, intorno al suo Pastore, il Papa, ma regioni e culture diverse hanno bisogno di una Chiesa “declinata” in modo diverso.

È emerso un certo stupore nel constatare da un lato la capacità e la voglia di impegnarsi dei giovani, dall’altro la sete di fede, di trascendenza. Pensi che la Chiesa riuscirà a colmare questo gap con i giovani, a rendersi finalmente conto che possono avere un ruolo importante?

Tutto sta nel modo in cui guardiamo ai giovani, quelli che fanno parte della Chiesa e quelli che non percorrono un cammino di fede. Quello che sta emergendo è che forse questo muro che abbiamo in testa in realtà non esiste. Nel senso che i giovani che sono parte della Chiesa hanno le stesse domande, le stesse difficoltà, le stesse fatiche nel fare le loro scelte di chi è lontano dalla fede. Mi viene in mente un intervento particolarmente bello che elogiava alcune caratteristiche del nostro tempo che ci libera da alcune cose del passato, in cui l’adesione alla Chiesa avveniva per tradizione: oggi si è cristiani per scelta, perché ci si crede davvero. Se riusciamo a fare questo passaggio penso che si riuscirà a colmare quel gap, far capire che non c’è un dentro e un fuori la Chiesa. Ci sono una serie di sfide, di domande. Il primo passo è accompagnare tutti i giovani a guardare con verità alle proprie domande e poi viene il discorso sull’annuncio di Gesù che resta la risposta a tutte le domande nuove di questo tempo.

Il format delle Gmg forse va aggiornato. Ma quali pensi che possano essere le strategie per avvicinare i giovani alla Chiesa e alla fede?

La Gmg è un evento molto attrattivo per chi partecipa ma non è esaustivo. Alcune esperienze stanno già prendendo il meglio della Gmg aggiornandolo con elementi nuovi, penso alla proposta della Chiesa italiana vissuta questa estate con il pellegrinaggio, per metterti in gioco prima, durante e dopo la Gmg. Per aggregare i giovani penso sia necessario superare l’idea che basta convocarli per dire di essere Chiesa in uscita. L’Instrumentum laboris afferma che l’appartenenza non si basa su adesioni ideologiche ma su esperienze concrete. I giovani oggi vanno sfidati, per esempio con percorsi di carità, di servizio, di bene comune e impegno politico. Da lì occorre rielaborare le domande di fondo che emergono in un’ottica cristiana. Coinvolgere prima di convocare mi sembra la chiave di alcuni ragionamenti che si stanno facendo.

Cosa ti aspetti dalle prossime giornate di lavoro e in generale da questa assemblea?

Intanto che continui il clima di dialogo e franchezza. E poi un documento magari meno teorico e sappia far emergere delle questioni. Mi aspetto anche che ci sia successivamente un’attuazione a livello locale. Non so come sarà messa in pratica ma proprio perché il Sinodo è un processo mi aspetto che non finisca qui e che in ogni Conferenza episcopale, in ogni diocesi si ragioni sugli elementi emersi per dire come possiamo collocarli sul nostro territorio e aggiornarli.

 

 

12 ottobre 2018