Gli ucraini di Ostia e la solidarietà che passa dalla parrocchia

A Santa Monica l’oratorio, poi la pagina Facebook e il punto di raccolta a sostegno di chi fugge dalla guerra. «Noi amiamo la nostra terra. Vogliamo vivere in pace»

Non c’è tempo da perdere. Mani operose di donne smistano velocemente cibi non deperibili, prodotti per l’igiene, medicinali, pannolini. Arrivano valigie con vestiti. Diverse persone fuori dalla parrocchia chiedono informazioni. Una piccola bandiera ucraina sulla cancellata in ferro è il segnale. É qui che si raccoglie quel che può servire a bambini, anziani e famiglie che attraversano il confine dell’Ucraina in fuga dalla guerra. Si confezionano scatoloni, etichettati velocemente con un pennarello. É così ogni pomeriggio a Ostia, dalle 16.30 in poi, presso la parrocchia Santa Monica. Qui don Petru Anton ha messo a disposizione da settembre alla comunità ucraina una piccola sala. «Poi la situazione si è aggravata», spiega Irina, 37 anni, ucraina, sposata e mamma di due ragazzi. «Abbiamo saputo dai nostri cari che erano davvero in guerra. Siamo scoppiati a piangere. Tutti». Poi la reazione: «Dovevamo fare qualcosa per la nostra gente».

Così è scattato il passaparola: «Volevamo urlare per le strade la nostra disperazione. Ci siamo affidati ai social, rimbalzando tra noi messaggi con richieste di aiuto concreto. Sono arrivati ucraini ma anche polacchi, rumeni, moldavi e italiani ad aiutarci. Un gruppo di uomini è partito per arruolarsi: «Adulti, che hanno vissuto l’esperienza del regime russo, ma anche giovani. Vogliamo essere liberi di autodeterminare il nostro futuro. Noi amiamo la nostra terra, il nostro popolo. Vogliamo vivere in pace». Molti hanno parenti anche in Russia: «Ho due cugine, una in Siberia, una nel sud – spiega Alessia -. Sanno ben poco di quello che sta realmente accadendo. Ancora non si rendono conto della gravità della situazione». Due lauree, in Economia e Giurisprudenza, è partita dalla sua terra «per cercare di guadagnare qualcosa in più. Mio padre era paraplegico e aveva bisogno di assistenza costosa. Così sono arrivata in Italia. Lavoro come badante o aiuto nelle pulizie. Sono riuscita a mandare i soldi alla mia famiglia. Mio papà è riuscito a vivere altri 6 anni». La mamma è ancora lì. «Ne ha 80. É claustrofobica e non può viaggiare. Abita verso il confine con la Romania. Hanno bombardato l’aeroporto a 20 km da casa. Non auguro a nessuno un’esperienza del genere».

La comunità ucraina a Ostia conta circa 5 mila persone registrate, spiega Irina. «In realtà siamo molti di più, tra quelli in transito e chi ha sposato italiani», aggiunge. Si ritrovano la domenica per la Messa alla cappellina del Borghetto dei pescatori, alle 12:30. Lei è arrivata in Italia 13 anni fa. «Non avevamo luoghi di riferimento o iniziative particolari, né ci conoscevamo tra noi. Abbiamo avviato questo piccolo spazio per attività ricreative a settembre per aiutare le mamme che hanno bambini piccoli a casa e permettere loro di lavorare il sabato. Abbiamo iniziato con questo piccolo gruppo, poi siamo passati a Facebook con l’account Ucraina+Italia=Insieme!. Ora raccogliamo cibo e soprattutto medicine su indicazioni specifiche dei volontari al confine con l’ Ucraina. Il sistema sanitario era già stato provato fortemente dalla pandemia».

I materiali vengono raccolti dai volontari e portati alla frontiera con Romania e soprattutto Polonia. Intanto stanno iniziando ad arrivare anche a Ostia donne con bambini fuggiti dalla guerra. «Per loro cerchiamo alloggi dove poterli sistemare e condividerne la spesa». Irina si ferma. In questa situazione così buia cerca qualche segno di luce: «Abbiamo riscoperto la nostra unità, che ci mancava tantissimo, l’amore verso la nostra terra. Facciamo esperienza concreta della solidarietà di tanti. Prego che questa situazione si risolva presto. Io voglio tornare a casa».

2 marzo 2022