Giulio Base e il cielo sul ghetto

Nel film presentato alla Festa del Cinema, la storia del rastrellamento degli ebrei nel ‘43 narrata con gli occhi di un gruppo di liceali. La carriera, dagli esordi nel ’91

Nel panorama dello spettacolo italiano, Giulio Base occupa un posto dai contorni ben identificati. Nato a Torino il 6 dicembre 1964, ha cominciato presto a lavorare nel mondo del cinema e in televisione. E su questi due versanti si è sviluppata la sua carriera. Il suo curriculum universitario comincia con la laurea in Storia del cinema alla Sapienza di Roma e quella in Teologia all’Istituto Patristico Augustinianum.

Come ha conciliato questi interessi all’apparenza distanti?
In effetti sono distanti solo all’apparenza: la cattedra di Storia e critica del cinema appartiene alla facoltà di Lettere e Filosofia, non così lontano dal mondo della teologia.

Il suo primo film al cinema è Crack (1991), storia di cinque ragazzi che frequentano una palestra alla periferia di Roma. Qui è anche tra i protagonisti, e dopo Poliziotti (1995), torna al doppio ruolo (regista/ attore) nel suo terzo film Lovest (1997). Si confronta da subito con un’esperienza importante sul set davanti e dietro la macchina da presa.
Il mio approccio al mondo dello spettacolo da professionista comincia come attore dopo il tirocinio con Vittorio Gassman alla Bottega teatrale di Firenze da lui diretta e prosegue con tanto palcoscenico. Il primo film nasceva proprio da una mia regia teatrale, dove ero anche tra gli interpreti insieme a Gianmarco Tognazzi, che ha recitato anche nei film successivi da te citati, Lest e Lovest. Da Poliziotti in poi è nato in me il regista tout court, quello che pensa soprattutto a raccontare delle storie e poi a interpretarle. Fare l’attore mi piace sempre tanto e a tutt’oggi se ritengo di poter far bene un ruolo lo incarno, come ho fatto nel recente Il Banchiere anarchico.

A partire dal 2000 si misura con la televisione. Affronta fiction di forte impegno (Padre Pio, 2000), Maria Goretti (2003), San Pietro (2005) e dal 2004 firma la regia di ben 47 episodi di Don Matteo, una delle serie di maggior successo prodotte da RaiUno. Come ha gestito questo passaggio dal film alla fiction televisiva, quanto ad uso di attori, ambienti, sceneggiature?
Ho cominciato a fare il regista di televisione quando non era una cosa “onorevole” come lo è adesso che serie e fiction sono rivalutati come genere a se stante. Non ho mai fatto differenze stilistiche tra i due mezzi ma mi sono preoccupato soprattutto di filmare al meglio le sceneggiature che scrivevo e mi venivano affidate, tenendo fortemente presente il punto di riferimento essenziale: il pubblico, che va sempre rispettato.

Con sua moglie Tiziana Rocca avete tre figli: Cristiana 23 anni; Vittorio 18, Valerio 17. Come ha organizzato in famiglia questo tempo “sospeso”?
Non è cambiato molto rispetto al solito, siamo una famiglia molto unita, che si vuole bene. Certo i ragazzi che fanno scuola on line non hanno lo stesso “sfogo” che si può avere uscendo o facendo lezione con gli amici ma mi pare che si stiano impegnando comunque.

Lo scorso anno ha presentato alla Festa di Roma il film Bar Giuseppe, rivisitazione in chiave moderna della parabola della nascita di Gesù. Una rilettura della figura di Giuseppe e del Padre, alla luce delle contraddizioni odierne.
È forse la mia opera più libera e personale, che mi ha dato, proprio a partire dalla Festa di Roma, tante soddisfazioni. Per la prima volta ho affrontato un argomento dei Vangeli che studio da decenni e che amo particolarmente, cioè la figura di quell’uomo umile e silenzioso lavoratore che è Giuseppe.

L’ultimo film, che ha portato ad ottobre scorso alla Festa di Roma, è rimasto bloccato per la chiusura delle sale. Si intitola Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma. Ce lo vuole presentare?
Si tratta di una storia che ha al centro il terribile rastrellamento di Roma al ghetto ebraico da parte dei nazisti nell’ottobre del 1943. Evento ricostruito e raccontato con gli occhi di un gruppo di liceali sia di scuole cristiane che ebraiche al giorno d’oggi.

21 dicembre 2020