Giovanni Paolo II, i venti anni di pontificato

L’editoriale di monsignor Levi che nel 1998 ricordò l’elezione di Wojtyla, «quel giorno che ha cambiato la storia»

Il giornale è un sismografo: registra i movimenti della società (nel nostro caso la Chiesa) prima e con maggior dettaglio rispetto alla percezione comune. Il giornale è un fuoco, nel senso ottico e acustico: le onde sonore e luminose vi si concentrano, come da una lente, con un’intensità massima rispetto ai suoni e alla luce diffusi.

Il giornale è un lasciapassare: può trovarsi dovunque «sul posto», là dove l’uomo comune non può giungere se non virtualmente, cioè con la sua mediazione visiva o scritta. Se ci fosse stato un giornale ai tempi di Giovanni Battista, il suo grido, «In mezzo a voi c’è un uomo che voi non conoscete», avrebbe trovato antenne assai più sensibili della confusa folla dei penitenti.

Anche nel 1978 qualcuno avrebbe potuto gridare: «In mezzo a voi c’è un uomo che voi non conoscete», e la folla avrebbe risposto: «è un negro». Invece era un bianco, un europeo, un polacco. Non molti lo conoscevano; ma il giornale sì. Molti si stupirono della sua elezione. Il giornale meno. Non che il giornale sia anche profeta. L’elezione di un Papa è misteriosa e pertanto incerta fino all’ultimo. L’elezione di un Papa è un’operazione teandrica, divino-umana, dove il discernimento degli elettori si sposa a sottili indicazioni fattuali, nelle quali si manifesta la divina Provvidenza. Il soffio dello Spirito Santo è grazia.

Ma la grazia dispone anche di strade visibili, sia pure minuscole, che segnano il percorso ad anime attente. Karol Wojtyla era il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, terra remota per l’Italia, ma non per la Chiesa. Karol Wojtyla era l’amico dei giovani, il maestro delle giovani famiglie, il cultore di una storia religiosa straordinariamente ricca da meritare i suoi frequenti viaggi all’estero, per animarne i protagonisti emigrati. Karol Wojtyla era docente di Etica in una Università tanto prestigiosa quanto sconosciuta alla pigra attenzione dell’Occidente. Karol Wojtyla era taciturno, modesto, sempre defilato rispetto al suo Primate Card. Wyszynski. Ma quando apriva bocca o prendeva decisioni pastorali entusiasmava il popolo e faceva tremare i potenti della tirannia.

Il giornale lo sapeva. Il giornale l’aveva seguito spesso. L’aveva visto in Italia, conferenziere ascoltato. L’aveva seguito in America, al Congresso Eucaristico Internazionale di Filadelfia nell’agosto 1976. Sapeva che la notizia della morte prematura di Giovanni Paolo I, il 28 settembre 1978, l’aveva raggiunto per radio, in Polonia, nella zona dei Laghi Masuri, dove si riposava dal Conclave di agosto facendo apostolato, lavorando spiritualmente con un gruppo di giovani, alternando le vagate in canoa ai fuochi di campo, alle conversazioni religiose, alle confessioni, alle Messe da campo.

L’aveva in silenzio e da lontano accompagnato al «Gemelli» il pomeriggio del 13 e la mattina del 14 ottobre, in visita all’amico Mons. Deskur. L’aveva visto raccolto, concentrato, entrare nella Cappella Sistina al crepuscolo del 14, per l’inizio del secondo Conclave dell’anno. Il giornale era pronto. Non che lo prevedesse. Lo metteva tra i possibili. E quando la notizia esplose, la sera di lunedì 16, il giornale poté uscire dopo pochi minuti, con la biografia, la foto e tante notizie sul nuovo Papa. Scrisse Fabio Isman su Il Messaggero di Roma: «Solo gli uomini de L’Osservatore Romano hanno fatto centro». Per dire di quel giorno che cambiò la storia.

Entro pochi mesi, tutto il mondo avrebbe saputo che non esistevano solo l’Europa e l’America, ma anche i Paesi slavi, con storia e fede di eccezionale qualità. Avrebbe saputo che l’Europa aveva due polmoni, l’occidentale e l’orientale; che al merito di Benedetto per la formazione dell’Europa, andava aggiunto quello di Cirillo e Metodio. E soprattutto avrebbe saputo che il totalitarismo ateo doveva ormai confrontarsi con un campione imbattibile.

Si era nel 1978 e si era convinti che nessuno mai avrebbe potuto scalfire la linea di Yalta. Giovanni Paolo II non se ne curava. A vent’anni di distanza Yalta è un fantasma sparito nelle nebbie della storia.

Sì, quel giorno cambiò il mondo, e lo si capì dal «Totus tuus» assunto dal nuovo Papa come sua divisa. Aveva con sé un’alleata invincibile. Nemmeno il tentativo cruento di abbatterlo fisicamente e di cambiare di nuovo il cambiamento andò a termine. La forza morale, la sofferenza, la sofferenza, la preghiera, l’instancabilità di Giovanni Paolo II hanno sorpreso e stupito il mondo.

Il suo Pontificato non è finito. La sua enorme irradiazione non è svigorita. L’amabilità del settantenne non fa rimpiangere l’atleta cinquantenne. Aprirà e chiuderà il Grande Giubileo del 2000? Glielo si augura di cuore ed oltre. E per questi vent’anni già trascorsi? Almeno un «grazie» grande e una preghiera. (Virgilio Levi)

11 ottobre 1998