Giovani “seriali”: quando la tv diventa specchio

Le serie per il piccolo schermo dedicate all’adolescenza al centro dell’incontro con il giornalista Sergio Perugini, alla Gran Madre di Dio. Il “caso” Squid Game

«La serialità, così come il cinema e la letteratura, hanno la vocazione di essere terreni espressivi dove far emergere disagi, desideri inespressi, parole non dette, e al tempo stesso dove poter trovare risposte. L’importante è che non restino isolate». Ne è convinto Sergio Perugini, giornalista e segretario della Commissione nazionale valutazione film della Cei, intervenuto ieri sera, 1° dicembre, all’incontro “Giovani seriali: da Skam Italia a Squid Game. Guardare la vita attraverso le serie tv”, promosso dalla parrocchia Gran Madre di Dio a Ponte Milvio.

Giovani allo specchio e allo schermo: questi i due filoni lungo cui si è snodato l’appuntamento – costruito insieme a don Gilfredo Marengo, del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II -, che ha inteso essere un’occasione di incontro, provocazione e dialogo. Una prima riflessione ha riguardato quelle serie tv che, ha proseguito Perugini, «propongono in maniera feconda o deformante la dimensione adolescenziale raccogliendone le istanze e i sogni, ma anche le fragilità o a volte le dispersioni, la ricerca di sé e il rapporto io-noi». Tra queste, c’è Skam Italia, il teen drama targato TIMvision e Netflix, remake dell’omonimo show norvegese, che racconta la vita di un gruppo di ragazzi di un liceo di Roma alle prese con le problematiche tipiche dell’adolescenza. «Sa cogliere la freschezza del linguaggio giovanile tessendo le lodi dell’aggregazione tra pari attraverso l’amicizia, elemento di ancoraggio nelle sfide quotidiana – ha spiegato -. Tuttavia, mette in evidenza come la famiglia o il mondo adulto sia quasi del tutto marginali o distanti». Altro discorso va fatto invece per Un professore, serie Rai con Alessandro Gassmann nei panni di un docente anticonformista «chiamato al ruolo di padre e professore». Al centro ci sono «i temi della ricerca di sé, dell’amore, delle amicizia solidali e ogni puntata è costruita sulla figura di un filosofo che si fa compagno di viaggio dei ragazzi». Ancora, c’è poi Strappare lungo i bordi, la serie animata di Zerocalcare in cui si racconta, tra le altre cose, «l’amarezza che accompagna l’ingresso verso la stagione adulta». Riflettendo invece sulle «provocazioni più audaci» proposte dalla serialità americana, Perugini ha indicato, «tra i titoli più orticanti», Euphoria, racconto problematico sull’adolescenza che mette in evidenza «un drammatico isolamento sociale, una fragilità esistenziale e un’assenza di figure educative genitoriali, e quindi anche una dispersione tra alcol, droghe e, soprattutto, in una sessualità precoce e poco consapevole».

La seconda parte dell’incontro è stata infine dedicata ai prodotti che con più frequenza attraggono i giovani. Da qui la scelta di partire da Squid Game, la serie Netflix più vista di sempre in cui i protagonisti partecipano a sfide mortali incentrate su giochi pensati per bambini. «Il fenomeno di questa serie è legato a una non comprensione, da parte della matrice adulta, del registro della violenza, un terreno che un ragazzo molto spesso percorre senza decodificare – ha osservato ancora Perugini -. C’è una consuetudine alla visualizzazione della ferocia, ma manca la consapevolezza della costruzione narrativa». Soffermandosi sull’impatto delle serie sulla formazione dei più giovani, ha infine aggiunto: «La mediazione educativa, che sia nella dimensione familiare, scolastica o parrocchiale, è un elemento decisivo, soprattutto perché la fruizione seriale è ormai elemento di comunicazione tra pari». Ecco allora l’invito, rivolto agli adulti, «ad avere il coraggio di mettersi in gioco su tutti i temi, perché, se il mondo adulto è timoroso, il rischio è che il giovane vada a trovare risposte altrove».

2 dicembre 2021