Giovani e lavoro, un rapporto ancora in crisi

Presentata la ricerca di Acli provinciali e Iref nell'ambito del progetto "Generare Futuro". Il 39% dipende completamente dalla famiglia. Il vescovo Ruzza: «La società civile e cristiana dovrebbe iniziare discernimento sulla questione»

«Il lavoro dovrebbe essere segno di stabilità ma soprattutto dovrebbe essere umanizzante. I ragazzi hanno diritto a una vita dignitosa». Lo ha detto il vescovo Gianrico Ruzza, delegato per la pastorale d’ambiente della diocesi di Roma, a margine del suo intervento in occasione della presentazione della ricerca “LavOro… nonostante tutto. Indagine sui giovani romani tra aspirazioni e realtà”, i cui risultati sono stati esposti questa mattina, 30 maggio, nella sede della Camera di Commercio di Roma. «La società civile e cristiana dovrebbe iniziare a fare un discernimento sulla questione e avere come priorità i giovani», ha aggiunto il presule sottolineando che «il lavoro per tutti in una prospettiva di integrazione e solidarietà è il solo che può aiutare a superare difficoltà e conflitti».

I giovani romani aspirano a stabilità e sicurezza economica ma il loro atteggiamento rispetto al lavoro in deroga è di sostanziale accettazione. Questo il ritratto della nuova generazione tracciato dallo studio condotto su un campione di 1.058 ragazzi tra i 18 anni e i 35 anni e realizzato dalle Acli provinciali di Roma in collaborazione con l’Istituto di ricerche educative e formative (Iref) delle Acli nazionali nell’ambito del progetto “Generare Futuro”. «Questa ricerca ci consegna un dato preoccupante: cresce la categoria dei poveri che lavorano. Non si tratta di numeri ma di storie vissute ogni giorno», ha spiegato Lidia Borzì, presidente delle Acli provinciali di Roma.  «Tuttavia, dallo studio emerge anche una grande speranza – ha aggiunto -. I giovani, nonostante tutto, sono sicuri di farcela e hanno un’alta percezione di se stessi. Non cercano assistenzialismo ma vogliono costruire il proprio futuro e vivere le proprie opportunità».

Anche in una grande metropoli come Roma i tassi di inoccupazione e precarietà giovanile hanno raggiunto livelli che non è esagerato definire elevati e drammatici. Dalla ricerca emerge infatti che il 30,3% dei giovani romani risulta essere inoccupato, il 28,6% lavora saltuariamente, mentre il 41,2% dichiara di essere un lavoratore full-time. «Sempre più spesso i giovani si trovano a cavallo tra essere dentro e fuori dal mercato del lavoro. Questo è lo scenario di oggi», commenta Gianfranco Zucca, ricercatore Iref che ha curato l’indagine. Un’emergenza, quella lavorativa, che assume connotati sempre più preoccupanti: il desiderio di una piena indipendenza economica viene spesso disatteso (il 39,2% del campione dipende totalmente dalla famiglia di origine) mentre si riducono le possibilità di una realizzazione personale. Eppure, quando pensano al proprio presente e futuro, i giovani non si scoraggiano. Uno spunto positivo che emerge dall’analisi dei dati riguardanti il rapporto tra le nuove generazioni e il lavoro.

«Un risultato interessante è che il lavoro manuale rappresenta un’alternativa come le altre per i giovani, a patto, però, che sia equamente retribuito», precisa Zucca. Risulta quindi essere superata la tradizionale opposizione tra mestieri e professioni, tanto che il 50,2% degli intervistati si dichiara disponibile ad imparare un lavoro manuale. «Un’altra questione fondamentale è il ruolo centrale che hanno le esperienze lavorative pregresse – ha proseguito il ricercatore -. I giovani hanno bisogno di fare esperienze nel mercato del lavoro, per imparare a conoscerne difficoltà e opportunità».

30 maggio 2019