Giornata del rifugiato, debutta all’Argentina “AfricaBar”

Dal 22 al 24 giugno lo spettacolo messo in scena da 25 migranti con 6 attori di ArteStudio, diretti da Riccardo Vannuccini. Il progetto “Teatro in fuga”

Dal 22 al 24 giugno lo spettacolo messo in scena da 25 migranti con 6 attori di ArteStudio, diretti da Riccardo Vannuccini. Il progetto “Teatro in fuga”

Sarah, donna in fuga dall’Eritrea, disegna segni di speranza sulle mani e sul volto di Cedric, giovane congolese che ha lasciato il suo Paese in guerra. Sul palco, grazie a questo gesto, riesce a dargli nuova vita e nuova storia attraverso l’arte. In questa scena si riassume l’essenza di AfricaBar, spettacolo che sarà portato sul palco del teatro Argentina, da giovedì 22 giugno a sabato 24, da giovani richiedenti asilo che studiano da attori nell’ambito del progetto “Teatro in fuga”. L’anteprima nazionale sarà rappresentata a Roma in occasione della Giornata del rifugiato. Assieme ai 25 migranti, provenienti da Mali, Pakistan, Marocco, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria, recitano sei attori di ArteStudio, compagnia diretta da Riccardo Vannuccini che realizza spettacoli e laboratori di teatro anche in zone di guerra.

«Africabar è il terzo spettacolo di una “trilogia del deserto”. L’anno scorso abbiamo portato sul palco del Teatro Argentina “Respiro” e due anni fa “Sabbia”. Il progetto del teatro nel deserto vuole raccontare la questione delle migrazioni forzate – racconta il regista -. L’idea che abbiamo maturato lavorando in Iran, in Giordania, in Palestina e in Libano è che il teatro sia uno strumento utile per comprendere gli accadimenti drammatici o sconosciuti della nostra esistenza». Simboli di migranti, dunque, e attori migranti. Sul palco c’è il congolese Cedric, attore di cinema e di teatro nel suo Paese, che ha sfidato il deserto e il Mediterraneo per raggiungere l’Italia. C’è Christian, avvocato camerunese, che oggi vive in un centro di accoglienza e ha presentato la richiesta per ottenere lo status di rifugiato. E poi tanti altri giovani, studenti, idraulici, camionisti. Tutti hanno un ruolo nelle scene che si susseguono, nell’unico atto di 70 minuti.

«Non c’è una storia né un protagonista, ma una successione di scene e di musiche, come nel teatro di Pina Bausch – spiega Vannuccini -. Parliamo molto poco sul palco ma facciamo tanto. Non presentiamo quello che già vediamo attraverso tv e giornali, non ci sono barconi in teatro. La nostra intenzione è quella di esprimere ciò che altrimenti resta invisibile, e cioè la vita immaginata da questi ragazzi». Nelle scene che si alternano viene presentato un mix di tradizioni, usi, religioni, razze con l’obiettivo di richiamare una forte partecipazione dello spettatore attraverso la sua immaginazione. A ispirarle, il teatro di Samuel Beckett, che interviene per esprimere il senso del rifiuto. «Africabar è un titolo ironico che vuole alleggerire una situazione tragica, quella delle prigioni dove i migranti si trovano rinchiusi prima di salire su un barcone. Sono lì senza aria, assetati e digiuni. Attraverso l’arte vogliamo trasformare questi posti terribili in Libia in luoghi di incontro dove vengono raccontare le loro storie».

AfricaBar è solo una parte del “Teatro in fuga”. La compagnia di Vannuccini, infatti, fa tappa in diversi campi per rifugiati. Lì porta spettacoli teatrali e rende i migranti attori. La prossima meta a ottobre sarà l’Iraq. «Lavoriamo anche in zone di guerra, per quattro volte siamo stati in Libano, e poi in Giordania, a Erbil, in Iraq, dove sono sorti campi spontanei – racconta il regista -. In Iran abbiamo lavorato con bambini afghani. Per noi l’importante è recuperare la capacità di ciascuno di raccontare una storia. A Beirut alcune donne siriane, scappate dalla guerra, sono uscite dal campo per la prima volta dopo 4 anni. E lo hanno fatto per partecipare alla nostra rappresentazione».

20 giugno 2017