Giornata del malato: la sinodalità della carità tra gli «invisibili»

Civitelli, direttore sanitario del Poliambulatorio Caritas, 2mila pazienti all’anno: «Urgenti strutture-ponte tra ospedali e centri per senza dimora»

Nel Poliambulatorio della Caritas diocesana di Roma, in via Marsala, ogni giorno va in scena un variopinto mosaico di emozioni. C’è la gioia dei sanitari di rincontrare un paziente ristabilitosi, la gratitudine degli assistiti per aver trovato chi li ha guidati, l’inquietudine di chi «vorrebbe fare sempre di più» ma è consapevole che «ci sono dei limiti e non si può arrivare dappertutto». L’importante però è farsi prossimi perché “Accogliere è già curare”, come recita una grande targa apposta all’ingresso della struttura.

L’ospitalità è un valore intrinseco nel dna di chi vi opera e richiama il tema della XXX Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”. Per medici, infermieri, farmacisti, volontari – 300 prima della pandemia – mettere la persona al centro «è fondamentale e in un contesto come questo si è ancora più provocati a farlo perché spesso la persona accolta è sola, non possiede nulla, ha solo bisogno di aiuto», dice Giulia Civitelli, direttore sanitario del Poliambulatorio alla Stazione Termini e missionaria secolare scalabriniana.

Il Poliambulatorio, porta aperta sulla strada e sul mondo, ogni anno offre prestazioni a circa 2mila pazienti di oltre cento nazionalità diverse. Il rumore del traffico cittadino non sovrasta il “grazie” scandito in tutte le lingue del mondo. Tante le storie dolorose impresse nella memoria dei medici che ogni giorno fanno «esperienza di sinodalità della carità». Civitelli ricorda Ayedi, un senza dimora di origine marocchina di 52 anni, con varie patologie croniche, che dopo un lungo ricovero in ospedale era stato dimesso pur essendo ancora molto malato. «La sera del 29 ottobre è arrivato da noi in gravissime condizioni – ricorda -. Erano i giorni del G20 e nonostante cinque solleciti l’ambulanza è arrivata dopo 4 ore. Quando è giunto in ospedale era tardi, è morto poco dopo». Civitelli coglie l’occasione per ribadire che «è urgente pensare a strutture che facciano da ponte tra ospedali e centri di accoglienza. Strutture con competenze sanitarie, dove è possibile ospitare chi, oltre a problemi di salute, ha difficoltà sociali. Non vogliamo essere sostituti del servizio sanitario nazionale ma lavorare in un’ottica di collaborazione». E forse si sarebbe potuto salvare anche Ahmed, algerino di 37 anni, che in attesa di un intervento risolutivo per guarire dai traumi di un gravissimo incidente stradale, rimandato a causa della pandemia, è caduto in uno stato di depressione tale che lo ha portato alla morte.

Nel messaggio per la Giornata mondiale del malato Papa Francesco sottolinea che «il malato è sempre più importante della sua malattia». È a questo che pensa Martina, studentessa di Medicina, che con Civitelli, un volontario e un infermiere ha assistito Ayedi. «Gli ho parlato a lungo – dice -. Ho cercato di confortarlo, di strappargli un sorriso. Mi chiedevo come fosse stato possibile dimetterlo e perché dover aspettare tanto un’ambulanza». Per superare i momenti dolorosi «fondamentale risulta il lavoro di squadra – aggiunge Antonella, dell’équipe medica -. Ci aiutiamo, condividiamo i nostri stati d’animo e spesso a farci forza sono i nostri pazienti». Come Irma e il compagno Andrei, entrambi di origine rumena. A lei hanno diagnosticato un tumore allo stato avanzato e le è stato consigliato il ricovero in un hospice. «Non si vogliono lasciare e hanno deciso di vivere insieme in un alloggio di fortuna facendosi forza l’un l’altro», racconta Marica, dell’équipe di direzione. Spesso ci si trova a medicare vecchie ferite, corpi sfregiati da torture e violenze subite nei Paesi di provenienza. «L’11 febbraio – conclude Civitelli – bisognerebbe riflettere anche sul fatto che molte ferite sono provocate dai contesti sociali in cui vivono le persone». E Federico, uno dei volontari, aggiunge che non bisogna mai dimenticare che «ognuno di noi potrebbe trovarsi al loro posto».

8 febbraio 2022