Giornali in carcere: la voce dei detenuti

Tre esperienze raccontate alla Casa del Jazz grazie all’associazione “Ossigeno per l’informazione”. Le opinioni dei reclusi e le proposte per la formazione e la rieducazione

Fare un giornale dal carcere con i detenuti. Raccontare il mondo dietro le sbarre a chi è dall’altra parte, a chi non ha mai perso la propria libertà nemmeno per un giorno. È la sfida che in molti si sono proposti di raccogliere e portare avanti in tante carceri italiane. L’associazione “Ossigeno per l’informazione”, che da 15 anni si occupa di difendere il diritto di cronaca e i giornalisti dalle minacce, dalla censura e dalle intimidazioni, ha raccolto tre esperienze nella sua sede a Roma, negli spazi della Casa del Jazz, spazi sottratti alla mafia e messi a disposizione dal Comune.

In questa iniziativa c’è un filo rosso che unisce le esperienze che danno voce ai carcerati e l’associazione: la lotta alla censura, perché il mondo dei ristretti è un mondo fatto anche di ricatti piccoli e grandi da parte delle istituzioni. Nelle carceri, è stato sottolineato, i “giornalini” subiscono talvolta censure di vario grado in merito a quanto può essere pubblicato. Ma vanno avanti, con i mezzi e gli spazi che possono, raccontando e raccontandosi al mondo.

A portare la propria testimonianza, tra i primi, Claudio Bottan, che dopo essere stato a sua volta in carcere per sei anni e mezzo, dopo aver scontato la pena è diventato vicepresidente di un’associazione che edita e distribuisce “Voci di Dentro”, realizzato con i detenuti delle carceri di Chieti e Pescara. Bottan, durante la detenzione, ha vissuto una rinascita, ha incontrato la moglie Simona, con cui poi ha iniziato a occuparsi di sensibilizzazione nelle scuole sul tema delle prigioni e dei pregiudizi che le accompagnano: lui ex carcerato, lei in sedia a rotelle, due situazioni difficili che segnano la vita. «L’umanità in carcere è in mano al volontariato», dice Claudio, che racconta come solo grazie a un sacerdote non si sia suicidato in carcere: «Penso che questo sia un fallimento da parte delle istituzioni».

Alla sua voce si affianca quella di Roberto Monteforte, giornalista professionista e animatore di “Non tutti sanno”, il giornale di Rebibbia che si sforza di «formulare proposte che migliorino davvero la vita dei ristretti» e la cui missione è «riuscire a comunicare la complessità della vita dei detenuti, combattendo gli stereotipi». Il giornale da qualche tempo viene stampato con il contributo del Vicariato di Roma che contribuisce alla distribuzione nelle parrocchie più impegnate nella pastorale carceraria.

Stefano Liburdi, giornalista, da più di un anno – fatta salva la pausa estiva – ha portato sulle colonne del suo giornale, Il Tempo, i frutti di un laboratorio che coinvolge altre sezioni di Rebibbia, compresa la Massima Sicurezza, facendo parlare i detenuti non di carcere ma di sport, cronaca, politica dal loro punto di vista, un «punto di vista spesso molto concreto, che va al nocciolo», spiega Liburdi. L’iniziativa si chiama “Visto da dentro”.

Fare informazione in questi contesti vuol dire dare voce a chi non ce l’ha più, contribuire alla formazione e alla rieducazione di chi ha sbagliato e oggi paga, ma non per questo ha perso la sua dignità che anzi va riconosciuta e protetta dagli abusi. Come ha detto in chiusura dell’evento Irma Conti, componente dell’ufficio del Garante nazionale dei detenuti: «È la comunità che deve accogliere e sostenere queste persone nel loro percorso di riabilitazione», percorso che per padre Lucio Boldrin, cappellano a Rebibbia, deve anche contenere una «educazione alla libertà». Affinché chi esce non rientri di nuovo e si spezzino davvero le catene.

17 settembre 2024