Giorgio Gaber avrebbe 80 anni, la sua assenza pesa molto

Inventore del “Teatro-Canzone”, lo ricordiamo con “Il conformista” e “Canzone dell’appartenenza”

Venerdì 25 gennaio, sulla facciata della casa di via Londonio, a Milano, dove era nato 80 anni fa, è stata apposta una targa per ricordarlo. Un omaggio al “Signor G”, Giorgio Gaber, a sedici anni dalla sua prematura scomparsa. Quando venne alla luce in quella casa milanese (dove visse fino al 1963) si chiamava Gaberscik. Ora chi passerà lì davanti, a poca distanza dalla sede milanese della Rai che lo rese famoso ancora giovanissimo, potrà leggere queste parole: “Qui nacque il 25 gennaio 1939 Giorgio Gaber, inventore del Teatro–Canzone. La sua opera accompagna vecchie e nuove generazioni sulla strada della libertà di pensiero e dell’onestà intellettuale”. Omaggio che proseguirà con una rassegna ad aprile, in collaborazione con il Piccolo, e Milano gli intitolerà il Teatro Lirico.

Due parole, “Teatro-Canzone”, che dicono poco ai più giovani ma che fanno parte del patrimonio culturale di questo Paese come testimonianza di una passione civile che a Gaber costò anche le critiche di una certa “intellighentia”, quella che mal digeriva le sue considerazioni da spirito libero. Cominciò tutto nel 1970, l’anno della tournée con Mina, quando Paolo Grassi e Giorgio Strehler gli propongono di scrivere uno spettacolo tutto suo per il Piccolo di Milano. È il 28 ottobre 1970 quando “Il Signor G” debutta al Teatro San Rocco di Seregno, dal gennaio del 1971 approda a Milano. Da lì parte un’avventura che avrà termine solo alla fine degli anni ’90 con “Un’idiozia conquistata a fatica”.

Oggi Giorgio Gaber – tra i pionieri del rock and roll in Italia prima dell’esperienza del “Teatro-Canzone” con quell’esordio dinoccolato a sorpresa nel 1959 da dietro un juke-box in “Il Musichiere” – manca a molti, e la sua assenza si avverte particolarmente in questo periodo in cui il Paese e l’Europa intera sono attraversati da una pericolosa deriva culturale. Non è stato facile scegliere un brano per rendere omaggio a un artista che ha lasciato un’impronta così forte. Per questo ne ospitiamo eccezionalmente due, dal taglio diverso.

“Il conformista”, dal sapore più “politico”, con una straordinaria interpretazione di Gaber, le strofe dalle parole quasi buttate via, senza troppo impegno, e il ritornello dal tono più duro che sembra rivelare tutta l’ipocrisia del conformista, che «rimbalza meglio di un pallone» e che «somiglia molto a tutti noi».

Poi “Canzone dell’appartenenza”, un testo chiave nella produzione di Gaber. «L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé». Ascoltarla farà bene anche oggi, a distanza di tanti anni, soprattutto oggi, in una società dal tessuto sociale disgregato.

Riscoprire i testi del “Teatro-Canzone”, ispirato ai recital francesi – cosa che qualche artista ha iniziato a fare e fa con operazione meritoria – potrebbe essere utile per capire, per conoscere, per riflettere non solo sulla società e sulla politica italiana degli ultimi decenni ma anche su se stessi, sulla vita di coppia (basta pensare a “Quando sarò capace d’amare”), sui rapporti con i figli, perché anche su questi aspetti Gaber – con l’inseparabile Sandro Luporini, amico e partner di un fortunato sodalizio – ha scritto, detto e cantato molto.

Da spirito libero quale era, e con la curiosità che sempre lo animava. Curiosità che lo spinse verso terreni apparentemente lontani, come al “Meeting dell’amicizia tra i popoli”, dove fu accolto da ovazioni nel 1985 e nel 1991 e dove dialogò con i giovani. Era il tempo in cui “Il Sabato”, periodico di Comunione e Liberazione”, denunciava la “cretinopoli” dilagante e vedeva in Gaber un baluardo contro la stupidità. A Rimini l’artista milanese raccontò di aver riscritto “Io se fossi Dio” e parlò del suo rapporto con Dio: «Nelle mie canzoni ho parlato di Dio, ho tentato di fare il discorso di un rigore che è insito in ogni uomo ed è una voglia di conoscere, di capire perché nel desiderio di muoversi, del conoscere c’è la voglia di vivere».

L’ultima apparizione di Gaber in pubblico, già affaticato dalla malattia, è nel programma di Adriano Celentano del 2001: insieme a Dario Fo, Jannacci, Antonio Albanese e lo stesso Celentano, i cinque cantano “Ho visto un re”. Una serata tra amici, per salutare il pubblico che lo ha seguito per una vita e quello che lo ha conosciuto più tardi, compagni di viaggio «sulla strada della libertà di pensiero e dell’onestà intellettuale».

30 gennaio 2019