Gigi Riva, bandiera di un calcio che fa innamorare

“Rombo di tuono” si è spento poco prima dell’inizio della finale di Supercoppa Napoli – Inter a Ryad, il 22 gennaio. L’attaccamento alla maglia del Cagliari e l’amore per la Nazionale, con il record di 35 reti in 42 presenze. L’omaggio del capo dello Stato

Si è spento pochi minuti prima che iniziasse la finale di Supercoppa italiana tra Napoli e Inter a Ryad, in Arabia Saudita, ieri sera, 22 gennaio. 5.679 km dalla sua Cagliari. Una distanza siderale, un po’ come quella tra il calcio di Gigi Riva e quello attuale. E così la sua morte, avvenuta ieri, 22 gennaio, nel reparto di Cardiologia del Brotzu di Cagliari, dove era stato ricoverato per un malore, sembra quasi un segno, un ammonimento. Quanto mancherà il grande bomber, in uno sport sempre più orientato alla logica del denaro e caratterizzato dalla scomparsa delle bandiere. E “Rombo di tuono” – così lo ribattezzò Gianni Brera per descrivere la sua potenza -, lo è stato davvero una bandiera. Campione non solo in campo, ma anche di correttezza e di coerenza. Campione che non ha mai guardato all’aspetto economico, al punto da rifiutare il trasferimento alla Juventus di Agnelli e Boniperti, che lo avrebbero coperto d’oro per quei tempi pur di averlo a Torino, per restare fedele a una squadra, a una città, a una terra, che lo aveva adottato, amato e proclamato suo eroe calcistico.

Per questo, da ieri sera, tutta l’Italia senza distinzioni di tifo, lo piange. E di tale sentimento si è fatto interprete, a nome di tutti Sergio Mattarella, oltre ai vertici del calcio e del Coni. «Tanti italiani, e io fra questi – ha scritto il presidente della Repubblica -, apprendono l’improvvisa notizia della morte di Gigi Riva con autentico dolore». Il capo dello Stato ha reso onore ai «suoi successi sportivi, al suo carattere di grande serietà, alla dignità del suo comportamento in ogni circostanza». Tutti elementi che, ha aggiunto, «gli hanno procurato l’affetto di milioni di italiani anche tra coloro che non seguivano il calcio».

Gigi Riva è stato un simbolo, ha incarnato i valori più belli dello sport. Prestanza fisica, eleganza e potenza, ma anche e soprattutto l’attaccamento alla maglia del Cagliari, la squadra che trascinò all’incredibile traguardo dello scudetto del 1970. Fu quello l’anno probabilmente più fulgido della sua straordinaria carriera, coronato anche dalla storica sfida con la Germania nella semifinale dei Mondiali del Messico, in cui realizzò anche un gol, e dalla finale con il Brasile purtroppo persa.

La Nazionale, infatti, fu l’altro suo grande amore e la squadra che lo fece entrare nel cuore di tutti gli italiani. Suo in gran parte il merito della vittoria dell’Europeo nel 1968, grazie a uno dei due gol della finale bis contro la Jugoslavia (la prima era finita 1-1 e all’epoca non c’erano i tempi supplementari), mentre l’altro fu segnato da Anastasi. Suo soprattutto il record di reti, 35 in 42 presenze, che resiste dagli anni ’70 e che neanche i campioni delle generazioni successive come Baggio, Totti e Del Piero sono riusciti neanche minimamente ad avvicinare.

Un amore, quello per la maglia azzurra, che gli dette anche grandi dispiaceri, come il grave infortunio – la frattura del perone della gamba destra – durante un incontro con l’Austria nella stagione 1970-1971. Ma che lo ripagherà da dirigente nel 2006, anno dell’ultimo Mondiale vinto dall’Italia, sotto la guida di Marcello Lippi. Gigi Riva, team manager di quella Nazionale, fu a detta di tutti determinante con i suoi consigli e il suo carisma, per cementare il gruppo, specie dopo le roventi polemiche e le feroci critiche seguite all’esplosione di Calciopoli. E proprio in quell’occasione dimostrò anche la sua coerenza, non partecipando ai festeggiamenti al Circo Massimo di Roma, il giorno dopo la vittoria, perché infastidito dal voltafaccia di molti commentatori che dopo aver sparato a zero sulla Nazionale, improvvisamente salirono sul carro dei vincitori.

Gigi Riva è stato anche questo. Un uomo tutto di un pezzo, che non si è mai piegato a compromessi e ha vissuto il calcio quasi come una missione. In campo e fuori. E mentre cala il sipario sulla sua vicenda terrena, non si spegnerà certo tanto facilmente l’eco di quel Rombo di Tuono, che vista l’ondata di affetto suscitata dalla sua scomparsa, è destinata, anzi, a crescere nel tempo. Segno del calcio vero che fa innamorare la gente e dove i soldi non hanno l’ultima parola.

23 gennaio 2024