Gerusalemme, Santo Sepolcro chiuso per il terzo giorno

Continua la protesta delle Chiese cristiane contro il piano fiscale israeliano, iniziata il 25 febbraio: una risposta al Comune, che ha deciso di riscuotere tasse su immobili non adibiti al culto

Resta chiuso, a Gerusalemme, il portone della basilica del Santo Sepolcro, serrato da domenica 25 febbraio, a tempo indefinito. Lo hanno deciso le tre realtà ecclesiali che condividono la gestione della basilica – patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, patriarcato armeno apostolico di Gerusalemme e Custodia francescana di Terra Santa – in segno di denuncia pubblica contro la «sistematica campagna contro le Chiese e la comunità cristiana in Terra Santa, in flagrante violazione dello “Status Quo”, messa in atto dalle autorità israeliane».

A scatenare la protesta, la decisione da parte della municipalità di Gerusalemme di reclamare dalle Chiese (e non solo) il versamento delle tasse comunali (Church lands bill), conosciute come Arnona, sugli immobili non adibiti al culto, disponendo anche il blocco dei conti correnti delle diverse realtà ecclesiali per spingerle a pagare gli arretrati. Secondo quanto riferito da media israeliani, il Comune di Gerusalemme reclama dalle istituzioni ecclesiastiche il versamento di circa 650 milioni di shekel (oltre 151 milioni di euro) attraverso la tassazione di 887 proprietà delle Chiese e di organismi Onu come l’Agenzia per l’assistenza ai profughi palestinesi (Unrwa).

La decisione unilaterale del sindaco Nir Barkat, affermano Theophilos III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, e Nourhan Manougian, patriarca armeno della Città santa, è «un passo contrario alla storica posizione delle Chiese all’interno della Città Santa di Gerusalemme e del loro rapporto con le autorità civili. Queste azioni violano gli accordi esistenti e gli obblighi internazionali che garantiscono i diritti e i privilegi delle Chiese, in quello che appare un tentativo di indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme». A pagare il prezzo più alto saranno «le famiglie impoverite che andranno senza cibo e alloggio, così come i bambini che non saranno in grado di frequentare la scuola. La campagna sistematica di abusi contro le Chiese e i cristiani raggiunge ora il suo apice con questo disegno di legge discriminatorio e razzista che mira unicamente alle proprietà della comunità cristiana in Terra Santa».

Ancora, i tre leader cristiani parlano di un attacco «sistematico e senza precedenti contro i cristiani in Terra Santa», che «calpesta la delicata rete delle relazioni tra la comunità cristiana e le autorità costruita nel corso di decenni». Da qui la decisione «senza precedenti» delle Chiese di chiudere il Santo Sepolcro fino a data da destinarsi. Nel frattempo le liturgie e le celebrazioni si svolgono all’interno, a porte chiuse. Sulle mura della basilica è appeso un poster con l’immagine del Santo Sepolcro; in alto la scritta: “Quando è troppo è troppo”. Poco più sotto: “Stop alla persecuzione delle Chiese”. Anche oggi, molti gruppi di fedeli sono rimasti fuori dalla basilica, nello spiazzo antistante, recitando preghiere appoggiandosi anche alle mura esterne e al portone.

Nella giornata di ieri, 26 febbraio, anche il vice segretario generale della Lega Araba per la Palestina e i territori arabi occupati Saeed Abu Ali, riferisce l’Agenzia Fides, ha condannato l’imposizione di tasse su beni ecclesiastici disposta dalle autorità israeliane, bollandola come «un’ennesima aggressione contro il popolo palestinese», messa in atto per consolidare «l’occupazione della Città Santa», e che ha anche l’effetto di svuotare gli accordi già firmati e le trattative ancora in corso tra Israele e Santa Sede.

27 febbraio 2018