«Gender a scuola, genitori con gli occhi aperti»

All’indomani della manifestazione del 20 giugno, l’appello del portavoce Massimo Gandolfini: «Stare “in trincea”, per difendere i figli dall’ideologia»

All’indomani della manifestazione del 20 giugno, l’appello di Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato organizzatore: «In trincea, per difendere i figli dall’ideologia»

«Pensavamo di poter essere in tanti, qualche centinaio di migliaia, ma sapere di essere un milione è stata una sorpresa anche per noi». Il successo della mobilitazione del 20 giugno in piazza San Giovanni traspare chiaramente dalle parole di Massimo Gandolfini, 64 anni, neurochirurgo bresciano scelto come portavoce del Comitato promotore “Difendiamo i nostri figli”. «È stata una partecipazione sentitissima – sottolinea – e questo è un segnale che indica l’enorme attenzione delle famiglie sui temi relativi all’educazione dei bambini, alla sessualità e alla genitorialità. Si cita spesso il Family Day del 2007, ma quello venne progettato a tavolino e realizzato in maniera verticistica. Noi invece siamo nati dal sentimento delle persone che erano allarmate e cercavano qualcuno che facesse sentire la loro voce. Abbiamo composto dal basso, in soli 18 giorni, un evento che penso di non esagerare a definire storico. Questa piazza ci ha consegnato un testimone prezioso, che ci carica anche di una grande responsabilità».

Quali frutti vi augurate di raccogliere?
Un primo risultato c’è già: aver portato all’attenzione di tutta l’Italia i percorsi di educazione all’affettività avviati nelle scuole secondo l’ideologia gender, smascherando le falsità secondo le quali miravano alla lotta al bullismo e alla discriminazione mentre invece veicolavano ben altri messaggi, quelli dell’indifferentismo sessuale e dell’educazione del bambino a poter scegliere tra un numero spropositato di generi in contraddizione alla propria biologia sessuata. Il secondo obiettivo che vogliamo realizzare è quello di rimettere al centro la famiglia come la definisce l’articolo 29 della Costituzione, «società naturale fondata sul matrimonio». Non vogliamo che le unioni civili omosessuali vengano parificate alla famiglia, non vogliamo che venga riconosciuto alle unioni omogenitoriali il diritto dell’adozione, vogliamo che pratiche schiaviste e barbariche come l’utero in affitto non trovino alloggio in Italia.

Tutto questo, però, rischia di verificarsi se dovesse passare il ddl Cirinnà, attualmente in discussione in Parlamento e sul quale il Governo, nei giorni scorsi, ha espresso parere neutrale.
Molti obiettano che il ddl Cirinnà non c’entra niente con l’ideologia gender, ma in realtà sono due anelli della stessa catena. Se passa questo disegno di legge significa che vengono ammesse le unioni di tipo omosessuale e nelle scuole verranno educati i bambini all’idea che esistono modelli diversi di famiglia, inclusa quella omosessuale. Per cui, di fatto, l’ideologia gender viene camuffata e traghettata all’interno delle scuole. Tuttavia, i segnali in questo momento sono molto incoraggianti: aver suscitato un grande dibattito pubblico nazionale, che ha scosso la politica, ha fatto sì che nulla più sia dato per scontato rispetto a prima.

Quale messaggio vuole lanciare ai genitori preoccupati per l’educazione dei propri figli?
Per prima cosa devono avere gli occhi ben aperti: all’interno delle scuole, ad esempio, devono andare a vedere “de visu” cosa succede, leggere il Piano dell’offerta formativa e, quando si parla di educazione all’affettività, sapere secondo quali criteri si propone tale itinerario. Le famiglie devono stare “in trincea” per difendere i loro figli dall’ideologia gender. Un’ideologia che, nell’educazione scolastica, non è una corazzata ma un sommergibile. Bisogna essere vigili per sapere quando sta entrando nelle scuole e, non appena si intercetta, far sentire la propria voce.

1° luglio 2015