Gemelli, Giornata del Malato: «Al paziente sensibilità e competenza»

Al Policlinico una tavola rotonda, medici al servizio dell’uomo. Raimondi, presidente Fondazione Gemelli: «La sofferenza cura se stessi»

Al Policlinico una tavola rotonda, medici al servizio dell’uomo. Raimondi, presidente Fondazione Gemelli: «La sofferenza cura se stessi» 

«L’ospedale è una macchina complessa che ha mille problematiche ma non esiste una struttura come questa dove le persone fanno la differenza e anche nell’organizzazione va favorita la sensibilità, dopo la capacità di fare le cose». Lo ha detto ieri, 11 febbraio, Giovanni Raimondi, presidente della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, durante la tavola rotonda organizzata in occasione della XXIV Giornata mondiale del malato. «Quello che mi colpisce di più del Policlinico – ha osservato il presidente Raimondi – è vedere che la sofferenza alla fine cura se stessi perché mette in condizione di vedere la vita in un altro modo».

Il presidente ha consegnato nel corso dell’incontro il Decalogo che il Policlinico ha scritto per vivere le opere di misericordia, intitolato “Misericordiosi come il Padre nel prendersi cura del malato”. «Il Decalogo – ha commentato – è un tentativo di declinare l’attenzione verso il prossimo e richiamare all’essere misericordiosi sapendo che Gesù ci aiuterà a svelarci il senso». Nell’opuscolo contenete il Decalogo, fra le altre indicazioni, viene ricordato il paziente come persona, ribadito il diritto a conoscere la verità sulla propria malattia e il divieto di lucrare sul malato per un tornaconto professionale.

Il malato quindi al centro dell’attenzione,
«in ogni momento – ha detto Fabrizio Vicentini, direttore della sede romana dell’Università cattolica del Sacro cuore -. Per superare le problematiche dovute ai tagli della sanità bisogna mettere in comunicazione la componente amministrativa con quella sanitaria». Il direttore ha sottolineato più volte l’importanza di un dialogo tra bisogni economici e assistenziali: «Tutti gli operatori sanitari sentono i tagli e i vincoli derivanti dall’attenersi ai drg (sistemi di rimborso delle prestazioni, ndr) come una preoccupazione quotidiana anche nella scelta della qualità delle cure. La parte amministrativa deve stare al fianco della parte sanitaria per capire qual è la modalità più opportuna, ma dovrebbero essere anche i decisori politici a farlo. È doverosa l’attenzione da parte nostra nella selezione e formazione delle nuove leve, preparate ma complete di qualità spirituali».

E di osmosi a «livello di umanità»
ha parlato l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, monsignor Claudio Guliodori. «Non possiamo sentirci compiuti e arrivati facendo della salute un idolo del nostro vivere. In questa osmosi troviamo le radici della nostra missione, la vita fatta di un fluire di amore in cui noi rischiamo di essere una diga perché ci mettiamo il nostro raziocinio. È più facile curare il corpo e non la persona ma senza la sua componente emotiva e spirituale rischiamo di non incontrare la persona e di non portarla alla guarigione».

A dare voce ai medici del Policlinico universitario è stato Giuseppe Zuccalà, direttore dell’unità di Geriatria, che ha sottolineato la difficoltà e il privilegio della professione: «Difficile perché attraversa gli abissi umani che rischiano di farlo sprofondare senza la possibilita di dare un conforto agli altri e privilegiato perché abbiamo la possibilità di dare una luce in questo abisso attraverso carità e misericordia». Zuccalà ha poi ricordato le parole di un suo padre spirituale ai tempi dei suoi studi universitari: «Mi diceva che anche la carità è una “malattia infettiva” che, come la malaria, ha un vettore di trasmissione ma, a differenza, della zanzara, l’esempio della persona di carità sopravvive dopo la sua morte. Infatti, il percorso della carità si irradia dall’esempio del medico agli infermieri, ai volontari fino a i pazienti e i familiari. Non si impartisce».

Don Angelo Auletta, assistente
pastorale del personale dell’Università Cattolica, ha riportato, infine, la sua esperienza personale nei reparti dell’ospedale: «I pazienti spesso mi domandano: “Perché proprio a me tanta sofferenza?”. Mi piace dire loro che dedicare il dolore a Dio significa arricchire una parte della propria vita. Inoltre, nel malato il confronto con Dio dà una forza che arricchisce momento per momento. Sono certo che da parte di Papa Francesco aver messo al centro la misericordia, durante questo Giubileo, significhi aver posto una sfida a questo mondo che sembra volere andare per altre rive. È stato profetico. Ci fa riscoprire quella ricchezza che rischia di passare in silenzio. Basta fare un esempio: nella liturgia si fa riferimento continuamente alla misericordia. L’aver messo sotto la lente questo tema nel Giubileo straordinario ci fa dare più attenzione a questi aspetti della vita del credente che rischiavano di non essere notati».

 

 

12 febbraio 2016