Gaza, l’appello dei rifugiati cristiani: «Papa Francesco, non abbandonateci!»
Cresce la paura tra i 500 sfollati della parrocchia latina della Sacra Famiglia, dopo i continui ordini di evacuazione dalla zona nord-ovest di Gaza city. Il parroco padre Romanelli: «Tutti si chiedono: “Dove andremo?”. Nella Striscia non c’è più un posto sicuro»
«Santo Padre, non abbandonateci»: è l’appello, lanciato quasi con un filo di voce al telefono, da un cristiano della parrocchia latina della Sacra Famiglia, nel quartiere orientale di al-Zaitoun di Gaza city, a nord della Striscia. Papa Francesco ha appena chiamato per il quotidiano e «tanto atteso» contatto con i fedeli che lì si sono rifugiati a causa della guerra. Padre Gabriel Romanelli, il parroco, lo traduce dall’arabo per poi aggiungere: «Qui tutti confidiamo nella preghiera e nella vicinanza di Papa Francesco», dice al Sir. È cosa nota che il pontefice, sin dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, scoppiata dopo il 7 ottobre 2023, chiami ogni giorno la parrocchia, che ospita circa 500 sfollati cristiani, per benedirli e rivolgere loro parole di aiuto e di incoraggiamento.
Sono giorni particolarmente difficili per la minuscola comunità cristiana di Gaza che ha trovato rifugio nella parrocchia latina e in quella ortodossa, poco distante. L’esercito di Israele ha emanato diversi ordini di evacuazione, l’ultimo relativo alla parte nord-ovest della città, gettando tutti nello sconforto. «Dove andremo? L’ordine di evacuazione – spiega padre Romanelli – riguarda un quartiere distante solo 4 chilometri dalla nostra parrocchia. Qui, al momento, non è arrivato nessun ordine ma la gente teme che presto tocchi anche a noi. La paura sale ogni giorno di più e tutti gli sfollati ci chiedono “Padre cosa faremo, dove andremo?” Qui a Gaza – ricorda il parroco – non c’è più un posto sicuro dove andare. Tutta la Striscia è stata rasa al suolo. Con noi ci sono bambini disabili accuditi dalle suore di Madre Teresa, anziani che non possono essere trasportati, malati. I nostri fedeli qui in parrocchia hanno un rifugio, hanno l’altare dove andare a pregare, le famiglie hanno qualcosa da mangiare e un aiuto per i più piccoli. Preferiamo restare con Gesù, se dobbiamo morire moriremo qui, a casa nostra».
E in attesa di vedere cosa accadrà la parrocchia si è trasformata, afferma padre Romanelli, «in un’oasi di pace e di civiltà anche se siamo abituati alla guerra. Ma è giusto dirlo: a Gaza nessuno vuole questo conflitto». Intorno alla parrocchia resistono ancora tantissime famiglie musulmane grazie alla solidarietà cristiana: «Meno di 3 settimane fa attraverso il Patriarcato Latino di Gerusalemme e i Cavalieri dell’Ordine di Malta è arrivato un carico di aiuti con i quali abbiamo potuto aiutare migliaia di persone. Nel nord di Gaza non arrivano aiuti e la popolazione rischia di morire di fame». Come conferma la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell, dal suo profilo X: «È profondamente preoccupante: c’è una forte probabilità che la carestia sia imminente nel nord di Gaza. I bambini sono particolarmente vulnerabili alla malnutrizione. È necessaria un’azione immediata per garantire un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli e forniture commerciali per salvare vite umane». Per sfuggire alla morte e alla fame almeno 50mila persone si sono rifugiate a Gaza City provenienti dalle zone ancora più a nord, come Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabalia, località dove Israele ha intensificato gli attacchi. Adesso l’esercito di Israele ha intimato a tutti di evacuare di nuovo verso sud.
Segnale di speranza. Un segnale di speranza è arrivato dalla visita, pochi giorni fa in parrocchia, di Sigrid Kaag, coordinatrice per le Nazioni Unite della ricostruzione di Gaza e delle spedizioni di aiuti umanitari alla popolazione locale. «Per noi è stato un segno di speranza. Abbiamo potuto ascoltare e verificare il suo impegno verso tutti i gazawi – ricorda padre Romanelli – preghiamo per lei perché porti avanti il suo impegno con vigore per favorire la pace». Pur se nel timore e nella paura, la vita nella parrocchia continua: «Pochi giorni fa – rivela il parroco – abbiamo cucinato una ricetta tipica di Gaza, a base di cipolle e così, anche se con un piatto povero, abbiamo potuto regalare un sorriso agli sfollati. Abbiamo raccontato questa cosa al Papa che ci ha incoraggiato e ringraziato». Ma per donare altri sorrisi, conclude padre Romanelli, «servono aiuti, servono cibo e medicine. Da un anno la gente non mangia carne, latticini, uova. Con gli aiuti potremo dare speranza a tante famiglie che non sanno più come sopravvivere alle bombe, alla povertà e alla fame». (Daniele Rocchi)
13 novembre 2024