Gaza: al via le udienze della Corte internazionale di giustizia su presunte violazioni israeliane

Amnesty International: «Il procedimento avviato potrebbe contribuire a proteggere i civili palestinesi, porre fine alla catastrofe umanitaria nella Striscia occupata e offrire un po’ di speranza»

Si svolgeranno all’Aja, l’11 e il 12 gennaio, le prime udienze della Corte internazionale di giustizia sulle presunte violazioni di Israele della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio. A metterle in moto, la denuncia del Sudafrica, secondo cui le azioni e la mancanza di azioni di Israele nei confronti della popolazione palestinese di Gaza, all’indomani degli attacchi del 7 ottobre da parte di Hamas e di altri gruppi armati, hanno carattere di genocidio. «Il Sudafrica sollecita, pertanto, la Corte a ordinare “misure provvisorie” per proteggere la popolazione palestinese di Gaza, anche chiedendo a Israele di porre fine immediatamente agli attacchi militari che “costituiscono, o danno origine, a violazioni della Convenzione sul genocidio” e di annullare i provvedimenti che costituiscono punizioni collettive e trasferimenti forzati di popolazione».

A spiegarlo è Amnesty International, che vede nel procedimento avviato dalla Corte un passo importante per «proteggere i civili palestinesi, porre fine alla catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza occupata e offrire un po’ di speranza per la giustizia internazionale». L’organizzazione internazionale, precisano in una nota, «non è arrivata a determinare che la situazione a Gaza ammonti a un genocidio. Tuttavia, i segnali sono preoccupanti, considerando lo sconvolgente livello di morte e distruzione – oltre 23mila palestinesi uccisi in appena tre mesi e altri 10mila dispersi sotto le macerie – e l’agghiacciante impennata di dichiarazioni deumanizzanti e razziste nei confronti dei palestinesi da parte di alcuni esponenti del governo e dell’esercito israeliano». In più, a questo si aggiunge «l’imposizione, da parte di Israele, di un assedio illegale contro Gaza, che impedisce o limita fortemente l’accesso della popolazione civile all’acqua, al cibo, all’assistenza sanitaria e al carburante, causando sofferenze inaudite e mettendo a rischio la sopravvivenza delle persone che si trovano nella Striscia di Gaza».

Nelle parole di Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International, «non si vede la fine di questa massiccia sofferenza umana, della devastazione e della distruzione cui stiamo assistendo di ora in ora. Il rischio che Gaza si sarebbe trasformata dalla più grande prigione a cielo aperto in un gigantesco cimitero si è rovinosamente materializzato davanti ai nostri occhi». E «mentre gli Usa continuano a usare il potere di veto per impedire al Consiglio di sicurezza di chiedere un cessate il fuoco, proseguono i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità e il rischio di genocidio è concreto –  prosegue -. Gli Stati hanno l’obbligo positivo di prevenire e punire il genocidio e altre atrocità», è il monito di Callamard, secondo cui «l’esame della condotta di Israele, da parte della Corte internazionale di giustizia, è un passo fondamentale per proteggere le vite dei palestinesi, per ripristinare fiducia e credibilità nell’applicazione universale del diritto internazionale e per aprire la strada alla giustizia e alla riparazione per le vittime».

La segretaria generale di Amnesty non ha dubbi: «È arduo – commenta – esagerare la dimensione della devastazione e della distruzione di questi ultimi tre mesi nella Striscia di Gaza: buona parte del nord è stato distrutto e almeno l’85 per cento della popolazione è sfollata internamente. Molti palestinesi ed esperti di diritti umani ritengono che ciò sia la conseguenza di una strategia israeliana per rendere Gaza “invivibile”. In attesa di una sentenza finale della Corte internazionale di giustizia che dichiari se il crimine di genocidio e altri crimini di diritto internazionale siano stati o meno commessi – prosegue -, un ordine urgente di attuare misure provvisorie sarebbe uno strumento importante per evitare ulteriori morti, distruzioni e sofferenze dei civili e servirebbe a segnalare ad altri Stati che non devono contribuire al compimento di gravi crimini contro i palestinesi».

11 gennaio 2024