«Fuoco e sangue», la sapienza stilistica di Jünger

Pubblicato per la prima volta in Italia lo scritto dedicato alla Grande Guerra: un resoconto di notevole forza rappresentativa

Pubblicato per la prima volta in Italia lo scritto dedicato alla Grande Guerra: un resoconto di notevole forza rappresentativa

Ernst Jünger, nato ad Heidelberg nel 1895 e morto a Riedling, in Alta Sassonia, dopo aver compiuto 103 anni, si arruolò come volontario nel 1914. Ancora prima, da ragazzo, aveva militato nella Legione Straniera: su questa esperienza compose Ludi africani (1936). La sua fama resta legata a Tempeste d’acciaio (1920), intenso referto bellico fra i tanti sulla Prima guerra mondiale. Poi Jünger sarebbe diventato uno scrittore di culto del ventesimo secolo: araldico, solenne, sofisticato, allegorico.

Tuttavia i primi testi dedicati alla Grande Guerra conservano una loro unicità: difficile cogliere altrove la medesima sapienza stilistica insieme alla conoscenza diretta dei fatti narrati. Fra questi era rimasto finora inedito in Italia Fuoco e sangue (Breve episodio di una grande battaglia), che l’editore Guanda propone nella traduzione di Alessanda Iadicicco (pp. 154, 16 euro). Pubblicato per la prima volta nel 1925, subì una revisione, da parte dello stesso autore, nel 1978.

Si tratta di un resoconto di notevole forza rappresentativa: privo della cadenza diaristica che caratterizza Tempeste d’acciaio, racconta in presa diretta un assalto, a cui lo scrittore partecipò come ufficiale, sul martoriato fronte francese nell’ultimo scorcio del conflitto. La contesa ormai era definita. I tedeschi avevano già perso, ma questo nel testo non ha nessuna importanza. Sono decisivi i momenti di attesa prima dell’attacco, quando lo sguardo di Jünger vaga sulla natura indifferente: «Si è fatto fastidiosamente freddo, e lo sciame dei moscerini che poco fa ho visto giocare negli ultimi raggi del sole a quest’ora, intirizzito, si sarà già nascosto nella corteccia screpolata di un albero».

Tutto si concentra nella foga dei soldati lanciati verso la morte nel momento storico in cui stanno comparendo nuove arme letali: carri armati, bombardieri, cannoni di nuova generazione. Jünger lo chiama «il materiale». E aggiunge: «Quella volta ci sembrò come se avessimo dovuto tuffarci a capofitto in un cratere in eruzione o in un altoforno fiammeggiante». Negli anni a venire egli rifletterà a lungo sul trionfo della tecnica sull’uomo. Il mondo aristocratico dei cavalieri teutonici era destinato alla sconfitta. Il trentenne reduce ci consegna una testimonianza antica: il tremore prima dello scontro, l’esaltazione febbrile durante l’azione, la violenza che aveva appena sperimentato, riuscendo a sopravvivere senza sapere come.

Certo idealizza la battaglia, anche se nel momento cruciale, quando in un buco di fango incontra davvero il nemico e questi atterrito gli mostra una foto con immagini di famiglia, lo risparmia. Verso la fine, mentre ferito torna a piedi nelle retrovie, fraternizza con due soldati inglesi, anch’essi bisognosi di cure, intercedendo in loro favore presso i propri camerati. Era il segno di una consapevolezza nuova che, in futuro, lo spingerà a distaccarsi dal regime nazista, cui inizialmente aveva aderito.

 

4 luglio 2016