Funerale di Giulia Cecchettin, Cipolla: «Signore, insegnaci la pace tra uomo e donna»

Migliaia le persone che hanno preso parte alla celebrazione, presieduta dal vescovo Cipolla. Due i maxischermi all’esterno. Le parole del papà Gino: «Noi uomini per primi dovremmo essere agenti di cambiamento contro violenza di genere»

Il feretro di Giulia Cecchettin è arrivato questa mattina, 5 dicembre, sul sagrato della basilica padovana di Santa Giustina, atteso da migliaia di persone. Familiari, amici, conoscenti della giovane laureanda uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ma anche tanti che si sono sentiti toccati in prima persona dalla sua vicenda. Al punto che anche il presidente della Regione Veneto Luca Zaia  presente in basilica – ha decretato una giornata di lutto regionale in coordinamento con le prefetture del Veneto. In basilica anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, mentre hanno inviato corone funebri il presidente della Repubblica, la premier e i presidenti di Camera e Senato.

A presiede la celebrazione, il vescovo di Padova Claudio Cipolla. Sull’altare accanto a lui 25 presbiteri tra preti diocesani, abate e parroco di Santa Giustina e  cerimonieri. «Abbiamo bisogno di parole e gesti di sapienza che ci aiutino a non restare intrappolati dall’immane tragedia che si è consumata, per ritrovare anche solo un piccolo spiraglio di luce», ha detto nella sua omelia, tutta incentrata su tre parole: attesa, speranza, a more. «Domenica è iniziato il tempo dell’Avvento, tempo che educa all’attesa, ad alzare lo sguardo oltre il buio: dal tronco ferito e spezzato della nostra umanità spunti un germoglio, come evocava il profeta nella prima lettura», letta in basilica dalla migliore amica di Giulia. «Non sappiamo quando, non sappiamo come – ha continuato il vescovo -, ma è forza che apre vie di riscatto, di affrancamento da ogni forma di negazione della vita».

Prendendo atto che «la conclusione di questa storia lascia in noi amarezza, tristezza, a tratti anche rabbia», il presule ha evidenziato però che «quanto abbiamo vissuto ha reso evidente anche il desiderio di trasformare il dolore in impegno per l’edificazione di una società e un mondo migliori, che abbiano al centro il rispetto della persona (donna o uomo che sia) e la salvaguardia dei diritti fondamentali di ciascuno, specie quello alla libera e responsabile definizione del proprio progetto di vita». Un impegno indispensabile «non solo per garantire qualità di vita al singolo individuo ma anche per realizzare quei contesti sociali e quelle reti in cui le persone siano valorizzate in quanto soggetti in grado di dare un contributo originale e creativo».

Certo, «di fronte alla morte di Giulia ma anche a quella di tante donne, bambini e uomini sopraffatti dalla violenza e dalle guerre, emergono tutti i nostri dubbi. La speranza, che oggi rinnoviamo, per noi cristiani ha un nome e un volto: quello di Gesù, il Signore Risorto – sono ancora le parole di Cipolla -. È lui la vita che la morte non è riuscita a ingabbiare, il Giusto che l’ingiustizia non è riuscita a spezzare, il mite e umile di cuore che ha scardinato la violenza del potere. La speranza, che è Cristo, è più di un antidoto nei momenti difficili della vita», ha assicurato. Citando ancora la profezia di Isaia di un un mondo pacificato, contenuta nella prima lettura, il vescovo ha osservato che «le piazze, le aule universitarie, i palazzi, le nostre case possono certo diventare quei luoghi dove poter difendere i diritti dei più deboli e creare le condizioni per una vita sociale e individuale all’insegna della giustizia e della libertà. Ma i cammini intrapresi in questi spazi saranno efficaci e giungeranno a dei risultati duraturi – ha aggiunto – nella misura in cui dentro ciascuno di noi si comporrà l’armonia annunciata dal profeta». Di qui il passaggio all’amore, che «non è un generico sentimento buonista; non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. È empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo».

Meditando quindi sulla preghiera – che «altro non è che metterci di fronte a Dio e al mistero della vita e della morte senza nascondere le nostre fatiche ma anche senza rinunciare ai nostri sogni» – e sulla pace, il vescovo ha rivolto la sua invocazione: «Insegnaci, Signore, la pace tra generi, tra maschio e femmina, tra uomo e donna. Vogliamo imparare l’amore e vivere nel rispetto reciproco – ha continuato -, cercando anzi il bene dell’altro nel dono di noi stessi. Non possiamo più consentire atti di sopraffazione e di abuso; per questo abbiamo bisogno di concorrere per riuscire a trasformare quella cultura che li rende possibili». E ancora: «Ti domandiamo, o Signore, la pace nel rapporto tra generazioni, tra giovani, adulti e anziani così che il coraggio e le aspirazioni possano coniugarsi con la sapienza e la profondità di chi conosce la storia e ne interpreta le direttrici». Da ultimo, la richiesta al Signore della «pace del cuore, del mio cuore e del cuore di tutti i presenti», ma anche della «pace del cuore per Filippo e la sua famiglia».

Al termine della celebrazione ha voluto prendere la parola anche il papà di Giulia, Gino Cecchettin,  per sottolineare che «noi uomini per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Mia figlia Giulia – ha detto – era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma» e «nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti».

Papà Gino ha parlato del femminicidio come del «risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro che avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita». Tante le responsabilità, «ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione. Mi rivolgo per primo agli uomini – ha continuato -, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto».

Da Giulio Cecchettin è arrivata infine l’esortazione a «trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne», l’auspicio. Quindi le parole rivolte direttamente «a chi è genitore come me: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all’esperienza di chi è più anziano di loro».

Ma se è vero che «la prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie», continua poi «nelle aule scolastiche. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza», è l’esortazione. Anche i media, ha proseguito, «giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti». Alle istituzioni politiche infine l’invito a «mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere».

5 dicembre 2023