“Fratelli tutti”, parole di speranza per guardare in alto

Un testo splendido che vorrei sostituisse per un attimo quei bollettini della disperazione che sembrano essere diventati non solo i media ma anche i nostri discorsi

Novembre ha portato con sé un autunno che mai come quest’anno ci pare grigio, plumbeo, premessa a un inverno che sembra possa non finire più. Siamo tornati in casa, chiuse molte scuole, chiuse le piazze e i luoghi dell’incontro, alle prese con notizie che con cadenza quasi quotidiana hanno aggiunto all’ossessione dei numeri della pandemia anche il conto delle vittime del terrorismo che di nuovo insanguina le piazze del mondo, da Nizza a Lione, da Vienna a Kabul.

Ci troviamo a gestire discorsi che non avremmo nemmeno immaginato. Noi che mesi fa riuscivamo a infervorarci sul prezzo delle buste del supermercato, oggi ci ritroviamo con i figli di nuovo in casa, gli anziani da segregare, alle prese con il cosa resterà di un mondo che ci sembra andato in frantumi. Quando non travasa la cattiveria, quando per un attimo cessa il vortice continuo delle parole, sempre le stesse, pare che al massimo grado di coscienza ci resti solo la sequela di elaborazione dei tanti lutti che questo tempo sembra averci imposto. Iniziamo a sentire tutti l’asfissia di una produzione del pensiero che al massimo dello sforzo non sa che ribadire in tutte le forme, da quelle più lucide a quelle più sbraitate, sempre e comunque quello che ci pare essere il nostro fallimento epocale.

A leggere la Storia, è in momenti come questi, di apparente deserto della speranza, che si sono alzate voci che nella notte hanno raccontato la prossimità del giorno, voci che però il nostro tempo sembrerebbe non avere avuto in dote. Per quanto mi riguarda, l’incontro con delle persone care in questi giorni, la possibilità di condividere con loro, tanto più come educatore, la necessità di mantenere viva la tensione di chi non può prescindere dal domani, mi ha portato alla lettura della nuova lettera enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco: è stato come riaprire la finestra in un luogo stantio ma che non è fatto per restare chiuso.

Ho scoperto un testo splendido, che parla del mondo, della dignità, di questo tempo, di noi tutti. Parole di speranza, che vorrei per un attimo sostituissero, almeno per una volta, quei bollettini della disperazione che sembrano essere diventati non solo i media, ma anche i nostri stessi discorsi. Parole sociali, che in questo contesto in cui il pensiero per quanto lucidamente, non fa che guardare verso il basso, ci invitano di nuovo a guardare in alto, secondo nuove categorie, un nuovo modo di comprendere il futuro, gli ultimi, noi stessi. Parole politiche, come queste: «Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca». Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (FT 36).

4 novembre 2020