Francesco: una famiglia di profughi in ogni parrocchia

L’invito all’Angelus del 6 settembre: «Ogni comunità esprima nell’accoglienza la concretezza del Vangelo». A cominciare «dalla mia diocesi di Roma»

L’invito all’Angelus del 6 settembre: «Ogni comunità esprima nell’accoglienza la concretezza del Vangelo». A cominciare «dalla mia diocesi di Roma»

È l’«Effatà» di Gesù al sordomuto narrato nel Vangelo di ieri, domenica 6 settembre, a segnare la strada che Papa Francesco, al termine dell’Angelus in piazza San Pietro, ha indicato a tutte le parrocchie romane e non solo. In quell’invito che ha il sapore di un ordine creatore – “Apriti!” – c’è l’esortazione a uscire «dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato» per essere nuovamente inseriti «nella grande famiglia della Chiesa». E proprio come in una famiglia, il Papa ha rivolto un appello «alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa a esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi».

Un gesto «concreto», segno di quella Misericordia alla quale è dedicato il Giubileo straordinario ormai imminente. A renderlo quanto mai urgente, il dramma delle migliaia di profughi sui quali nel Vecchio Continente il dibattito si è trascinato per tutta l’estate, senza approdare a un risultato; quello delle frontiere che sono rimaste e rimangono chiuse – come le labbra e le orecchie del sordomuto – per migliaia di uomini, donne e bambini in fuga, trattati come numeri; quello delle vittime di viaggi sempre più disperati. Come il piccolo Aylan, il bambino siriano di tre anni annegato davanti alle coste turche mentre con la famiglia cercava di raggiungere la Grecia e sepolto venerdì 4 settembre a Kobane, ritratto per l’ultima volta tra le braccia del suo soccorrotore in una foto che ha commosso il mondo.

«Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita – ha ribadito con forza Francesco -, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. Di dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura». Di qui l’appello all’accoglienza, «incominciando dalla mia diocesi di Roma», per arrivare all’Europa tutta intera. Il Papa si è rivolto infatti ai «fratelli vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo appello», ricordando che «Misericordia è il secondo nome dell’Amore».
A fare il primo passo sarà proprio il Vaticano. Anche le due parrocchie del piccolo Stato, vale a dire quella della basilica di San Pietro e la parrocchia di Sant’Anna, «accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi», ha annunciato Francesco. Dopo l’appello dell’Angelus, ha informato l’arciprete della basilica vaticana, il cardinale Angelo Comastri, «ci siamo messi subito al lavoro per individuare due appartamenti del Vaticano che saranno a disposizione di 2 famiglie di profughi alle quali per desiderio dello stesso pontefice garantiremo anche l’assistenza sanitaria e materiale».

Lo stile indacato dalle parole del Santo Padre è quello di Dio Padre, che «Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità», attraverso la sua «Parola fatta carne: Gesù». Anche i rapporti umani «più elementari», ha evidenziato, a volte creano incapacità di aprirsi all’altro: «La coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa. Quello non è Dio, quello è il nostro peccato».

7 settembre 2015