Francesco: «Stare vicini ai più fragili»

È l’esortazione rivolta ai rappresentanti di Centri di assistenza e carità, incontrati nella sua terza giornata in Portogallo. «Vivere, aiutare e amare insieme», la raccomandazione

Il Centro Paroquial de Serafina ha accolto, questa mattina, 4 agosto, Papa Francesco, che ha incontrato i rappresentanti di alcuni Centri di assistenza e di carità. E a loro ha affidato una consegna: «Fare il bene insieme, agire concretamente e stare vicini ai più fragili». Facendo eco alle testimonianze ascoltate poco prima, ha raccomandato di «vivere, aiutare e amare insieme: giovani e adulti, sani e malati, insieme. Non bisogna lasciarsi definire dalla malattia – l’esortazione -, ma farne parte viva del contributo che diamo all’insieme, alla comunità. Non dobbiamo lasciarci definire dalla malattia o dai problemi, perché non siamo una malattia o un problema: siamo, ciascuno di noi, un dono, un dono unico anche se coi suoi limiti, un dono prezioso e sacro per Dio, per la comunità cristiana e per la comunità umana. Allora, così come siamo, arricchiamo l’insieme e lasciamoci arricchire dall’insieme!».

La Chiesa, ha ribadito ancora il pontefice, «non è un museo di archeologia: alcuni la pensano così, ma non è così. È l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato», ha proseguito Francesco, invitando alla «concretezza», a fare «attenzione al “qui e ora”, come già state facendo, con cura dei particolari e senso pratico, belle virtù tipiche del popolo portoghese». Poi, proseguendo a braccio, ha aggiunto: «Non c’è un amore astratto, c’è l’amore concreto, bisogna sporcarsi le mani». Di qui le domande che ciascuno di noi deve porsi: «L’amore che sento è concreto o astratto? Mi dà senso la povertà degli altri? Cerco sempre una vita distillata, quella che esiste nella mia fantasia ma non esiste nella realtà? Quante vite distillate inutili, che passano attraverso la vita senza lasciare traccia, perché a loro vita non ha peso!”, ha esclamato Bergoglio. E «qui invece abbiamo una realtà che lascia tracce, che sta lasciando una traccia che va a vantaggio degli altri. Potrebbe esistere una Gmg senza tener conto di queste realtà?», è il monito. La risposta: «No! Voi generate vita continuamente, col vostro sporcarvi le mani, e vi ringrazio per questo con tutto il cuore. Non vi scoraggiate, e se vi scoraggiate prendete un bicchiere d’acqua e andate avanti!».

Da ultimo, ancora una raccomandazione: «Stare vicini ai più fragili. Tutti siamo fragili e bisognosi – ha continuato -, ma lo sguardo di compassione del Vangelo ci porta a vedere le necessità di chi ha più bisogno. E a servire i poveri, i prediletti di Dio che si è fatto povero per noi : gli esclusi, gli emarginati, gli scartati, i piccoli, gli indifesi. Sono loro – ha ribadito – il tesoro della Chiesa, sono i preferiti di Dio! E, tra di loro, ricordiamoci di non fare differenze. Per un cristiano, infatti, non ci sono preferenze di fronte a chi bussa bisognoso alla porta. Connazionali o stranieri, appartenenti a un gruppo o ad un altro, giovani o anziani, simpatici o antipatici».

Il Papa ha citato un esempio concreto: Giovanni Ciduad, «un giovane portoghese vissuto molto tempo fa. Sognava una vita avventurosa e così, da ragazzo, partì da casa in cerca della felicità. La trovò dopo tanti anni e molte avventure, quando incontrò Gesù. E fu così felice della scoperta – ha raccontato – che decise di cambiare perfino il nome e di chiamarsi, da allora in poi, non più Giovanni Ciudad, ma Giovanni di Dio. E fece una cosa ardita: andò in città e si mise a chiedere l’elemosina per strada, dicendo alla gente: “Fate del bene, fratelli, a voi stessi!”. Capite? Chiedeva la carità, ma diceva a quelli che gliela facevano che, aiutando lui, in realtà aiutavano prima di tutto sé stessi! Spiegava, cioè, che i gesti d’amore sono un dono anzitutto per chi li fa, prima ancora che per chi li riceve».

L’amore, ha sottolineato Francesco, «non rende felici solo in cielo, bensì già qui in terra, perché dilata il cuore e permette di abbracciare il senso della vita. Se vogliamo essere davvero felici, impariamo a trasformare tutto in amore – l’invito -, offrendo agli altri il nostro lavoro e il nostro tempo, dicendo parole e compiendo gesti buoni, anche con un sorriso, con un abbraccio, con l’ascolto, con lo sguardo. Cari ragazzi, fratelli e sorelle, viviamo così! Tutti possiamo farlo e tutti ne abbiamo bisogno, qui e ovunque nel mondo». Poi, rivolto ai bambini, ha raccontato la storia di Giovanni, che non fu capito: «Pensavano che fosse matto e lo chiusero in un manicomio. Ma lui non si demoralizzò, perché l’amore non si arrende, perché chi segue Gesù non perde la pace e non si piange addosso. E proprio lì, in manicomio, portando la croce, arrivò l’ispirazione di Dio. Giovanni – ha continuato – si rese conto di quanto i malati avessero bisogno di aiuto e, quando finalmente lo lasciarono uscire, dopo alcuni mesi, cominciò a prendersi cura di loro con altri compagni, fondando un ordine religioso: i Fratelli Ospedalieri. Alcuni, però, cominciarono a chiamarli in un altro modo, proprio con le parole di quel giovane che diceva a tutti: “Fate-del-bene-fratelli”! A Roma noi li chiamiamo così: i Fatebenefratelli».

4 agosto 2023