Francesco: primo requisito di un buon imprenditore, «la condivisione»

Il Papa ha ricevuto in udienza i partecipanti all’assemblea di Confindustria. L’appello: «In questo Paese ci siano posti di lavoro, soprattutto per i giovani»

«Nel mercato ci sono imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore, che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno. La gente sa riconoscere i buoni imprenditori. Lo abbiamo visto anche recentemente, alla morte di Alberto Balocco: tutta la comunità aziendale e civile era addolorata e ha manifestato stima e riconoscenza». Ricevendo in udienza in Aula Paolo VI i partecipanti all’assemblea pubblica di Confindustria, ieri, 12 settembre, Papa Francesco ha rivolto anzitutto il suo omaggio ai “buoni imprenditori”, riconoscendo che «questo tempo non è un tempo facile, per voi e per tutti. Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto. La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico è stato ferito. E ora si è aggiunta la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando. In queste crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi», ha riconosciuto.

Nell’analisi del pontefice, «l’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda. Nel Vangelo – ha spiegato – non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda. Lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze». E allora «si può essere mercante, imprenditore, ed essere seguace di Cristo, abitante del suo Regno». Il primo requisito è la condivisione. La ricchezza infatti porta con sé «la responsabilità di farla fruttare, di usarla per il bene comune». Nella stessa Chiesa «ci sono sempre state persone benestanti che hanno seguito il Vangelo in modo esemplare», ha ricordato il Papa citando imprenditori, banchieri ed economisti, come i beati Giuseppe Toniolo e Giuseppe Tovini. «Per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti è chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d’Assisi – ha puntualizzato -; ad alcuni che possiedono ricchezze è chiesto di condividerle», perché «la condivisione è un altro nome della povertà evangelica».

Al centro del discorso del Papa anche il tema delle tasse – «non un’ usurpazione ma il cuore del patto sociale» -, che devono essere «giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana», all’interno di un sistema e di un’amministrazione fiscale «efficienti e non corrotti», e quello del lavoro. «Vi chiedo che in questo Paese ci siano posti di lavoro, soprattutto per i giovani», l’appello rivolto, a braccio, alla platea degli imprenditori. Da sempre, ha continuato Francesco, «il lavoro è una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico». Sta anche qui, per Bergoglio, «la centralità del lavoro nell’economia e la sua grande dignità. Oggi la tecnica rischia di farci dimenticare questa grande verità, ma se il nuovo capitalismo creerà ricchezza senza più creare lavoro, va in crisi questa grande funzione buona della ricchezza».

Correlato al tema del lavoro, quella della natalità. «Oggi fare figli è una questione, direi, patriottica, per portare il Paese avanti», la riflessione a braccio del pontefice, secondo cui «è il modello di ordine sociale da mettere in discussione. Dobbiamo lavorare per uscire dall’inverno demografico – l’esortazione -, che va contro di noi e impedisce la crescita». Proprio per questo «è urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità». Cominciando con la tutela delle mamme lavoratrici, per continuare con quella dei migranti. «Un migrante – le parole di Francesco – va accolto, accompagnato, sostenuto e integrato, e un modo di integrarlo è il lavoro. Ma se è semplicemente usato, senza diritti, è un’ingiustizia grande, fa male al proprio Paese». L’Italia, ha ricordato il pontefice, «ha una forte vocazione comunitaria e territoriale. Il lavoro è stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più ampio, dove l’impresa è parte integrante della comunità». Anche in materia di immigrazione, laddove favorisce l’«integrazione costruttiva» e valorizza «capacità indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto».

Da Francesco anche l’invito a «ribadire con forza il “no” a ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza», così come a evitare che diventi troppo larga «la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi». Oggi, ha evidenziato il pontefice, «la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager. Mi piace anche ricordare che l’imprenditore stesso è un lavoratore: e questo è bello. Il vero imprenditore vive di lavoro, vive lavorando, e resta imprenditore finché lavora. Il buon imprenditore conosce i lavoratori perché conosce il lavoro. Molti di voi – il riconoscimento – sono imprenditori artigiani, che condividono la stessa fatica e bellezza quotidiana dei dipendenti». Senza dimenticare «l’odore del lavoro. Come succede a noi preti e vescovi: quando dimentichiamo l’odore delle pecore non siamo più pastori, siamo funzionari». Il modello: Adriano Olivetti, «un vostro grande collega del secolo scorso».

13 settembre 2022