Francesco: «Nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi»

Celebrata a San Pietro la Messa nella V Giornata mondiale dei poveri. L'esortazione: «Dobbiamo essere "testimoni di compassione". "Convertitori di bene". È bella, è evangelica, è giovane una Chiesa che esce da se stessa e, come Gesù, annuncia ai poveri la buona notizia»

Cosa viene chiesto ai cristiani di oggi di fronte a una realtà fatta di «tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie»? Di «nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi». Lo ha detto Papa Francesco durante l’omelia della Messa celebrata a San Pietro in occasione della V Giornata mondiale dei poveri, davanti a 2mila indigenti accompagnati dai volontari e da una rappresentanza di quanti quotidianamente si spendono per aiutarli attraverso le realtà caritative di Roma. Il motto scelto per promuovere la Giornata quest’anno viene dal Vangelo di Marco: “I poveri li avete sempre con voi”. Il pontefice aveva raccontato venerdì 12 novembre ad Assisi, durante l’incontro di preghiera con altri 500 poveri, la genesi di questa iniziativa, nata con il Giubileo della Misericordia, grazie all’intuizione di un volontario francese, Etienne, che il Papa ha definito “enfant terrible”. Una iniziativa che anche quest’anno, affidata all’organizzazione del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, ha consentito la distribuzione di tantissimi aiuti ai bisognosi: dalle derrate alimentari per 40 case famiglia di Roma a 5mila “kit” di ausili sanitari di prima necessità per la salute e la cura della persona a circa 60 parrocchie romane, fino all’attività di screening “Alla ricerca del virus” in piazza San Pietro.

Durante la celebrazione il Papa, commentando il Vangelo del giorno, ha fatto riferimento a due aspetti: il dolore di oggi e la speranza di domani. «Siamo dentro a una storia segnata da tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie, in attesa di una liberazione che sembra non arrivare mai. Soprattutto – ha aggiunto -, a esserne feriti, oppressi e talvolta schiacciati sono i poveri, gli anelli più fragili della catena. La Giornata mondiale dei poveri, che stiamo celebrando, ci chiede di non voltarci dall’altra parte, di non aver paura di guardare da vicino la sofferenza dei più deboli». Una «povertà a cui spesso sono costretti, vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza di una società dello scarto, che corre veloce senza vederli e li abbandona senza scrupoli al loro destino». Ma «Gesù vuole aprirci alla speranza, strapparci dall’angoscia e dalla paura dinanzi al dolore del mondo – ha detto ancora Francesco -. La speranza di domani fiorisce nel dolore di oggi. Sì, la salvezza di Dio non è solo una promessa dell’aldilà ma cresce già ora dentro la nostra storia ferita – abbiamo il cuore ammalato, tutti -, si fa strada tra le oppressioni e le ingiustizie del mondo».

A questo punto, «chiediamoci che cosa è richiesto a noi cristiani davanti a questa realtà? Ci è richiesto di nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi. Sono collegati: se tu non vai avanti risanando i dolori di oggi, difficilmente avrai la speranza di domani. La speranza che nasce dal Vangelo, infatti, non consiste nell’aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, questo non è possibile, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio». Oggi «è come se la Chiesa ci dicesse: “Fermati e semina speranza nella povertà. Avvicinati ai poveri e semina speranza”. Dobbiamo essere “testimoni di compassione”. Noi non potremo mai fare del bene senza passare per la compassione. Al massimo faremo cose buone, ma che non toccano la via cristiana perché non toccano il cuore. Quello che ci fa toccare il cuore è la compassione: ci avviciniamo, sentiamo la compassione e facciamo gesti di tenerezza. Proprio lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza».

Il Papa ha poi citato don Tonino Bello: «”Non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza”. Se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire. A noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza». Infine, ha messo in guardia dai «restaurazionisti» che «vogliono una Chiesa tutta ordinata, tutta rigida: questo non è dello Spirito Santo. E noi dobbiamo superare questo, e far germogliare in questa rigidità la speranza. E sta a noi anche superare la tentazione di occuparci solo dei nostri problemi, per intenerirci dinanzi ai drammi del mondo, per compatire il dolore. Gesù ci vuole “convertitori di bene”: persone che, immerse nell’aria pesante che tutti respirano, rispondono al male con il bene. Persone che agiscono: spezzano il pane con gli affamati, operano per la giustizia, rialzano i poveri e li restituiscono alla loro dignità. È bella, è evangelica, è giovane una Chiesa che esce da se stessa e, come Gesù, annuncia ai poveri la buona notizia».

15 novembre 2021