Francesco: «Non riduciamo la croce a un simbolo politico»

La Divina Liturgia presieduta a Presov, nel suo viaggio in Slovacchia. «Non è una bandiera da innalzare ma la sorgente di un modo nuovo di vivere»

Nel terzo giorno del suo viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia, la Divina Liturgia presieduta da Papa Francesco a Presov. Al centro dell’omelia, il tema della croce, senza la quale il cristianesimo «è mondano e diventa sterile». Agli occhi del mondo, ha spiegato, «la croce è un fallimento. E anche noi rischiamo di fermarci a questo primo sguardo, superficiale, di non accettare la logica della croce; non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo. Non accettare, se non a parole, il Dio debole e crocifisso, e sognare un dio forte e trionfante». Si tratta, nelle parole del pontefice, di «una grande tentazione». Cristo crocifisso, ha continuato, «malgrado le apparenze, non è un perdente, ma è Dio che volontariamente si offre per ogni uomo». San Giovanni, ha spiegato, «ha visto nella croce l’opera di Dio». Un Dio che «avrebbe potuto risparmiarsi la vita, avrebbe potuto tenersi a distanza dalla nostra storia più misera e cruda. Invece ha voluto entrarci dentro, immergersi in essa». E lo ha fatto scegliendo «la via più difficile: la croce. Perché non ci dev’essere in Terra nessuna persona tanto disperata da non poterlo incontrare, persino lì, nell’angoscia, nel buio, nell’abbandono, nello scandalo della propria miseria e dei propri sbagli. Proprio lì, dove si pensa che Dio non possa esserci, Dio è giunto. Per salvare chiunque è disperato ha voluto lambire la disperazione, per fare suo il nostro più amaro sconforto ha gridato sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Un grido che salva. Salva perché Dio ha fatto suo perfino il nostro abbandono. E noi, ora, con lui, non siamo più soli, mai».

Di qui il monito: «Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale». La croce, ha rilevato Francesco, «è dipinta o scolpita in ogni angolo delle nostre chiese. Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi». E la croce «esige una testimonianza limpida», ha osservato, tributando il suo omaggio ai martiri che «hanno testimoniato in questa nazione l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede. Ma non potevano non testimoniare». E anche «ai nostri tempi non mancano occasioni per testimoniare». Anche se, ha avvertito il Papa, «la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità».

La croce , al contrario, «non vuole essere una bandiera da innalzare ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere. Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini. Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce – ancora le parole del pontefice – non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi ma dare la propria vita per gli altri». Ancora, «non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto”».

In conclusione, un appello: «Conservate il ricordo caro di persone che vi hanno allattato e cresciuto nella fede. Persone umili, semplici, che hanno dato la vita amando fino alla fine. Sono loro i nostri eroi, gli eroi della quotidianità, e sono le loro vite a cambiare la storia». E i testimoni «generano altri testimoni, perché sono donatori di vita. È così che si diffonde la fede: non con la potenza del mondo ma con la sapienza della croce; non con le strutture ma con la testimonianza». Il modello è Maria, sul Calvario insieme a Giovanni. «Nessuno come lei ha visto aperto il libro della croce e l’ha testimoniato attraverso l’amore umile – ha terminato Francesco -. Per sua intercessione, chiediamo la grazia di convertire lo sguardo del cuore al Crocifisso. Allora la nostra fede potrà fiorire in pienezza, allora matureranno i frutti della nostra testimonianza».

14 settembre 2021