Francesco: nella malattia, «una domanda di senso»

Il messaggio per la Giornata mondiale dell’11 febbraio. «Nessuno è immune dal male dell’ipocrisia». Investire risorse nella cura e nell’assistenza dei malati

Comincia con un pensiero per quanti, in tutto il mondo, «patiscono gli effetti della pandemia del coronavirus», il messaggio di Francesco per la Giornata mondiale del malato, l’11 febbraio, sul tema “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8). La relazione di fiducia alla base della cura dei malati”. «A tutti, specialmente ai più poveri ed emarginati, esprimo la mia spirituale vicinanza, assicurando la sollecitudine e l’affetto della Chiesa», scrive il Papa.

Il primo pericolo dal quale il pontefice mette in guardia è quello di «scivolare nell’idolatria di se stessi», nell’incoerenza tra credo professato e vissuto. «Nessuno – afferma – è immune dal male dell’ipocrisia, un male molto grave, che produce l’effetto di impedirci di fiorire come figli dell’unico Padre, chiamati a vivere una fraternità universale». Quello offerto da Gesù è un modello di comportamento del tutto opposto: «Propone di fermarsi, ascoltare, stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, sentire empatia e commozione per lui o per lei, lasciarsi coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio».

Proprio l’esperienza della malattia, è l’analisi di Francesco, «ci fa sentire la nostra vulnerabilità e, nel contempo, il bisogno innato dell’altro. Quando siamo malati l’incertezza, il timore, a volte lo sgomento pervadono la mente e il cuore; ci troviamo in una situazione di impotenza, perché la nostra salute non dipende dalle nostre capacità o dal nostro affannarci». La malattia, in altre parole, «impone una domanda di senso, che nella fede si rivolge a Dio: una domanda che cerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, e che a volte può non trovare subito una risposta». Emblematica, a proposito, la figura biblica di Giobbe: «La moglie e gli amici non riescono ad accompagnarlo nella sua sventura, anzi, lo accusano amplificando in lui solitudine e smarrimento. Giobbe precipita in uno stato di abbandono e di incomprensione. Ma proprio attraverso questa estrema fragilità, respingendo ogni ipocrisia e scegliendo la via della sincerità verso Dio e verso gli altri – spiega il Papa -, egli fa giungere il suo grido insistente a Dio, il quale alla fine risponde, aprendogli un nuovo orizzonte». Confermandogli cioè che la sua sofferenza non è una punizione né uno stato di lontananza da Dio o un segno della sua indifferenza. «Così, dal cuore ferito e risanato di Giobbe, sgorga quella vibrante e commossa dichiarazione al Signore: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”».

Per il pontefice, la malattia «ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati, esclusi, vittime di ingiustizie sociali che negano loro diritti essenziali». L’attuale pandemia, denuncia, «ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa». Il motivo: «Scelte politiche», ma anche il «modo di amministrare le risorse» e l’impegno di quanti rivestono ruoli di responsabilità. «Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario», asserisce Francesco.

Contemporaneamente, la pandemia ha messo in risalto «la dedizione e la generosità di operatori sanitari, volontari, lavoratori e lavoratrici, sacerdoti, religiosi e religiose, che con professionalità, abnegazione, senso di responsabilità e amore per il prossimo hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari. Una schiera silenziosa di uomini e donne – li definisce il Papa – che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite di pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana». Di qui l’invito alla «vicinanza», da vivere, come il buon Samaritano, «oltre che personalmente, in forma comunitaria», perché «l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili».

Il pontefice ricorda quindi l’importanza della «solidarietà fraterna, che si esprime concretamente nel servizio e può assumere forme molto diverse», a sostegno del prossimo. Solidarietà che significa «avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo», attraverso un servizio che «guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello». E che proprio per questo non più essere mai ideologico, «dal momento che non serve idee ma persone».

Nella parte finale del messaggio, poi, la strada da seguire per il mondo sanitario: «Stabilire un patto tra i bisognosi di cura e coloro che li curano», fondato sulla fiducia e il rispetto reciproci, sulla sincerità, sulla disponibilità, così da superare ogni barriera difensiva. E ancora, «mettere al centro la dignità del malato, tutelare la professionalità degli operatori sanitari e intrattenere un buon rapporto con le famiglie dei pazienti». La motivazione e la forza vengono dalla carità di Cristo, assicura il pontefice, secondo il quale «perché vi sia una buona terapia, è decisivo l’aspetto relazionale, mediante il quale si può avere un approccio olistico alla persona malata. Valorizzare questo aspetto – osserva – aiuta anche i medici, gli infermieri, i professionisti e i volontari a farsi carico di coloro che soffrono per accompagnarli in un percorso di guarigione, grazie a una relazione interpersonale di fiducia». Una società, conclude il Papa, «è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno. Tendiamo a questa meta e facciamo in modo che nessuno resti da solo, che nessuno si senta escluso e abbandonato».

13 gennaio 2021