Francesco: lo stile della cura, contro la solitudine della fragilità

Il messaggio per la Giornata mondiale del malato, l’11 febbraio. L’esortazione: «La Chiesa sia ospedale da campo». La necessità di «garantire a tutti l’accesso alle cure»

“Abbi cura di lui. La compassione come esercizio sinodale di guarigione”. Questo il tema scelto da Francesco per il messaggio per la Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio. «La malattia fa parte della nostra esperienza umana – si legge nel testo, diffuso ieri, 10 gennaio – ma può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione». Di contro, è «proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia» che «possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza», evidenzia il Papa.

Nelle parole del pontefice, «l’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto». Il parametro indicato è, ancora, la parabola del Buon Samaritano, di cui l’enciclica “Fratelli tutti” propone una lettura attualizzata, in quanto «punto di svolta» per poter uscire «dalle ombre di un mondo chiuso e pensare e generare un mondo aperto. C’è una connessione profonda tra questa parabola di Gesù e i molti modi in cui oggi la fraternità è negata – rileva Francesco -. In particolare, il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto».

Il Papa usa la parola «atrocità»  per definire la condizione di solitudine e abbandono, chiarendo subito però che «può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione». E osserva: «Non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti – sono ancora le parole di Bergoglio -. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi».

Proprio per questo, è la tesi del Papa, «è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura». Il presupposto è che «tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli».

Dalla Giornata mondiale del malato arriva dunque non solo l’invito «alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti» ma anche un’esortazione al popolo di Dio, alle istituzioni sanitarie e a tutta la società civile a «un nuovo modo di avanzare insieme»: un invito a «pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male».

Inevitabile il riferimento agli anni della pandemia, che «hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva – è il monito – non basta uscire onorando degli eroi». Se è vero infatti che «il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti», occorre ora che «alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute», l’appello.

Di qui l’invito, nella ricorrenza dell’11 febbraio, a guardare «al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità: non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare».

11 gennaio 2023