Francesco: «La sinodalità è la cartella clinica della Chiesa italiana»

Il Papa ha aperto l’assemblea generale della Cei. Al centro del suo settimo discorso ai vescovi italiani anche la riforma del processo matrimoniale canonico e il rapporto tra vescovi e sacerdoti come «spina dorsale»

«Sinodalità e collegialità; riforma del processo matrimoniale; rapporto tra vescovi e sacerdoti». Si è articolato intorno a questi tre temi il discorso a braccio rivolto da Papa Francesco ai vescovi italiani, in apertura della loro assemblea generale, in corso in Vaticano fino al 23 maggio. «Vi ringrazio per questo incontro – ha esordito Francesco – che desidererei fosse un momento di aiuto al discernimento pastorale sulla vita e la missione della Chiesa italiana». «Grazie di essere venuto!», il saluto del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, al Santo Padre: «Lei ci accoglie con gioia in questa sua casa che sentiamo anche nostra». Parlando a braccio per una ventina di minuti, come già aveva fatto lo scorso anno, prima dell’incontro “a porte chiuse” con i vescovi, Bergoglio ha annunciato di voler riprendere affrontare alcune questioni già sottoposte all’attenzione dei presuli, «per approfondirle e integrarle con questioni nuove per vedere insieme a che punto siamo».

Sinodalità e collegialità. Sono le prime parole d’ordine del discorso del Papa, che ha citato le parole pronunciate in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, per ribadire che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio: è dimensione costitutiva della Chiesa». La sinodalità, ha spiegato  citando la plenaria 2017 della Commissione teologica internazionale su questo tema, «è la cartella clinica dello stato di salute della Chiesa italiana e del vostro operato pastorale ed ecclesiastico». Non è mancato un riferimento ad un possibile Sinodo della Chiesa italiana, il cui «rumore» – ha rivelato Francesco – è arrivato fino a Santa Marta. «Se qualcuno pensa di fare un Sinodo sulla Chiesa italiana, si deve incominciare dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso con il documento di Firenze», la direzione di marcia indicata dal Papa esortando a cominciare dalle diocesi e ad adottare come “Magna Charta”, «ancora vigente», il discorso da lui rivolto alla Chiesa italiana nel quinto convegno decennale nazionale: «E questo prenderà del tempo, ma si camminerà sul sicuro, non sulle idee. Mi rammarica constatare che la riforma, dopo più di 4 anni, rimane ben lontana dall’essere applicata nella gran parte delle diocesi italiane», nonostante la Chiesa italiana abbia «previsto un aggiornamento circa la riforma del regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici».

È il bilancio dell’applicazione della riforma del processo matrimoniale canonico, varata con i due Motu proprio del 2015, che devono  trovare «piena e immediata applicazione in tutte le diocesi dove ancora non si è provveduto. Non dobbiamo mai dimenticare che la spinta riformatrice del processo matrimoniale canonico – caratterizzata dalla prossimità,  celerità e gratuità delle procedure – è volta a mostrare che la Chiesa è madre e ha a cuore il bene dei propri figli, che in questo caso sono quelli segnati dalla ferita di un amore spezzato», il monito di Bergoglio: «E pertanto tutti gli animatori del tribunale devono agire perché questo si realizzi e non anteporre null’altro che possa impedire o rallentare l’applicazione della riforma, di qualsiasi natura o interesse possa trattarsi. Il buon esito della riforma passa attraverso la conversione delle strutture e delle persone», ha ribadito il Papa: «Non permettiamo che gli interessi economici di alcuni avvocati oppure la paura di perdere potere di alcuni vicari giudiziari frenino o ritardino la riforma».

«Il rapporto tra i sacerdoti e noi vescovi rappresenta una delle questioni più vitali nella vita della Chiesa, è la spina dorsale su cui si regge la comunità diocesana». Ne è convinto il Papa, che a questo proposito ha citato le «parole sagge» del cardinale Bassetti: «Se si dovesse incrinare questo rapporto tutto il corpo ne risulterebbe indebolito. E lo stesso messaggio finirebbe per affievolirsi. Il vescovo è il pastore, il segno di unità per l’intera Chiesa diocesana, il padre e la guida per i propri sacerdoti e per tutta la comunità dei credenti», l’identikit di Francesco, secondo il quale «alcuni vescovi, purtroppo, fanno fatica a stabilire relazioni accettabili con i propri sacerdoti, rischiando così di rovinare la loro missione e addirittura indebolire la stessa missione della Chiesa. I sacerdoti sono i nostri più prossimi collaboratori e fratelli. Sono il prossimo più prossimo!», ha esclamato: «La comunione gerarchica crolla quando viene infettata da qualsiasi forma di potere o di autogratificazione personale», mentre «si fortifica e cresce quando viene abbracciata dallo spirito di totale abbandono e di servizio al popolo di Dio». Un pastore vero vive «in mezzo al suo gregge e ai suoi presbiteri, senza discriminazione e senza preferenze, e sa come ascoltare e accogliere tutti senza pregiudizi». Di qui la necessità di «non cadere nella tentazione di avvicinare solo i sacerdoti simpatici o adulatori e di evitare coloro che secondo il vescovo sono antipatici e schietti; di consegnare tutte le responsabilità ai sacerdoti disponibili o “arrampicatori” e di scoraggiare i sacerdoti introversi o miti o timidi, oppure problematici. I nostri sacerdoti si sentono continuamente sotto attacco mediatico e spesso ridicolizzati oppure condannati a causa di alcuni errori o reati di alcuni loro colleghi – il grido d’allarme del Papa – e hanno vivo bisogno di trovare nel loro vescovo la figura del fratello maggiore e del padre che li incoraggia nei periodi difficili». (M. Michela Nicolais)

21 maggio 2019