Francesco: «In nome di Dio, chiedo la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini»

Il videomessaggio per il IV Incontro mondiale dei movimenti popolari, con la richiesta del condono dei debiti. I governi «lavorino per il bene comune»

Dedicato alle proposte per ripartire dopo la pandemia il IV Incontro mondiale dei movimenti popolari, che si è aperto il 16 ottobre con un lungo videomessaggio di Papa Francesco. «In nome di Dio, chiedo ai grandi laboratori farmaceutici che liberalizzino i brevetti. Compiano un gesto di umanità e permettano che ogni Paese, ogni popolo, ogni essere umano, abbia accesso al vaccino. Ci sono Paesi in cui solo il tre, il quattro per cento degli abitanti è stato vaccinato». Questo il primo appello pronunciato dal pontefice. «Voglio chiedere, in nome di Dio, ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito di permettere ai Paesi poveri di garantire i bisogni primari della loro gente e di condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli», la seconda richiesta. Quindi l’appello, «in nome di Dio», alle grandi compagnie estrattive e immobiliari di «smettere di distruggere boschi e di inquinare fiumi e mari»; alle compagnie alimentari di «imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato»; ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di «cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra» il cui costo «sono milioni di vite e di spostamenti».

Francesco si è rivolto quindi ai giganti della tecnologia, chiedendo di smettere di sfruttare la fragilità umana per ottenere profitti, senza considerare l’aumento di discorsi di odio, grooming, fake news e manipolazione politica. Ai giganti delle telecomunicazioni la richiesta di «liberalizzare l’accesso ai contenuti educativi e l’interscambio con i maestri attraverso internet, affinché i bambini poveri possano ricevere un’educazione in contesti di quarantena». E ancora: «Voglio chiedere, in nome di Dio, ai mezzi di comunicazione di porre fine alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia e a quell’attrazione malata per lo scandalo e il torbido; che cerchino di contribuire alla fraternità umana e all’empatia con le persone più ferite». Infine, «ai Paesi potenti» la richiesta, «in nome di Dio», di «cessare aggressioni, blocchi e sanzioni unilaterali contro qualsiasi Paese» perché i conflitti «si devono risolvere in istanze multilaterali come le Nazioni unite».

Nell’analisi di Francesco, la «logica implacabile del guadagno» sta «sfuggendo a ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo». Di qui la richiesta, «ai governi in generale, ai politici di tutti i partiti», rivolta «insieme ai poveri della terra», di «rappresentare i propri popoli e di lavorare per il bene comune». Nella consapevolezza che «il bene di un popolo è molto più di un consenso tra le parti». Siano insomma «al servizio dei popoli che chiedono terra, casa, lavoro e una vita buona». Nello stesso tempo, «a noi tutti, leader religiosi» il pontefice rivolge la richiesta di «non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre o colpi di Stato», gettando invece «ponti di amore». Inevitabile il riferimento alla pandemia di Covid-19. «Da una crisi non si esce mai uguali», le parole del Papa. Ma per cogliere un’opportunità di miglioramento occorre «riflettere, discernere e scegliere175, perché 174ritornare agli schemi precedenti sarebbe davvero suicida e, se mi consentite di forzare un po’ le parole, ecocida e genocida», ha rimarcato. Per uscirne migliori è «imprescindibile adeguare i nostri modelli socio-economici affinché abbiano un volto umano, perché tanti modelli lo hanno perso», divenendo «strutture di peccato» che è urgente cambiare.

«Poeti sociali» e «samaritani collettivi». Il pontefice ha definito così i movimenti popolari, ricordando, come esempio, le proteste di piazza per la morte di George Floyd, morto durante un fermo di polizia negli Usa. Una reazione contro l’ingiustizia sociale che «può essere manipolata o strumentalizzata – ha ammesso – ma l’essenziale è che lì, in quella manifestazione contro quella morte, c’era il “samaritano collettivo”. Quel movimento non passò oltre, quando vide la ferita della dignità umana colpita da un simile abuso di potere». Nel richiamare quindi alcuni principi tradizionali della dottrina sociale della Chiesa, come l’opzione preferenziale per i poveri, la destinazione universale dei beni, la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, il bene comune, «ogni volta che ne parlo – ha osservato Francesco – alcuni si meravigliano e allora il Papa viene catalogato con una serie di epiteti che si utilizzano per ridurre qualsiasi riflessione alla mera aggettivazione screditante. Non mi fa arrabbiare, mi rattrista – ha aggiunto -. Fa parte della trama della post-verità che cerca di annullare qualsiasi ricerca umanistica alternativa alla globalizzazione capitalista; fa parte della cultura dello scarto e fa parte del paradigma tecnocratico. Mi rattrista – ha continuato – quando alcuni fratelli della Chiesa s’infastidiscono se ricordiamo questi orientamenti che appartengono a tutta la tradizione della Chiesa. Ma il Papa non può non ricordare questa dottrina anche se molto spesso dà fastidio alla gente, perché a essere in gioco non è il Papa ma il Vangelo».

Indicata dal pontefice anche due misure concrete per contribuire a «qualche cambiamento significativo» del modello economico attuale, vale a dire il salario universale e la riduzione della giornata lavorativa. La prima aiuterebbe «ogni persona» ad «accedere ai beni più elementari della vita»; per Francesco «è giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media», che «quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più». Quindi, sulla riduzione della giornata lavorativa, ha evidenziato che «lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con una certa urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro». Infine l’appello ad ascoltare la voce delle periferie, dalle quali «il mondo si vede più chiaramente. La sofferenza del mondo – ha assicurato – si capisce meglio insieme a quelli che soffrono».

18 ottobre 2021