Francesco in Mongolia: «Siamo tutti “nomadi” di Dio»

Nel penultimo giorno del suo viaggio apostolico, il 3 settembre, la Messa alla “Steppe Arena”. L’invito a continuare a «crescere insieme, come semi di pace in un mondo funestato da troppe guerre e conflitti»

La “Steppe Arena” di Ulaanbaatar ha ospitato ieri, 3 settembre, la Messa presieduta da Papa Francesco nel penultimo giorno del suo viaggio apostolico in Mongolia. Commentando i brani della liturgia della Parola, il pontefice si è soffermato su «la sete che ci abita e l’amore che ci disseta». Anzitutto, ha esortato, «siamo chiamati a riconoscere la sete che ci abita. Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto. Le sue parole – ha aggiunto – hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia, una terra di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto». Richiamando quindi «la bellezza e la fatica del camminare» a cui «tanti di voi sono abituati», ha sottolineato che «tutti noi siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore». Nelle parole di Francesco, «è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita».

La fede cristiana «risponde a questa sete; la prende sul serio. Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi». Il suo contenuto infatti è proprio «l’amore che ci disseta. Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità», ha spiegato ancora Bergoglio. Anche se a volte, dunque, «ci sentiamo come una terra deserta, arida, Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù». Nell’analisi del Papa, è anche un richiamo alla storia dei cristiani della Mongolia: «Nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola – ha affermato -, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre, ci riporta all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente».

Ricordando il rimprovero di Gesù a Pietro – «non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini » – Francesco ha quindi messo in guardia dal non cadere nella mentalità «mondana», che «non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima». Gesù invece indica la via: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». Questa, ha sottolineato il pontefice, è «la via migliore di tutte. Al cuore del cristianesimo – ha proseguito – c’è questa notizia sconvolgente, straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene. Abbiamo bisogno di pace interiore», ha aggiunto a braccio. Allora, «non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici. Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi». Di qui l’invito ad accogliere l’esortazione di Gesù a Pietro: «Va’ dietro a me». Allora «potremo camminare sulla via dell’amore. Anche quando amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità».

Al termine della celebrazione, poi, con un gesto a sorpresa Bergoglio ha fatto avvicinare a sé John Tong Hon e Stephen Chow, l’emerito e l’attuale vescovo di Hong Kong, quest’ultimo cardinale designato, che riceverà la porpora nel Concistoro del prossimo 30 settembre. «Vorrei approfittare della loro presenza – ha detto – per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio – ha proseguito -, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. A tutti. Grazie». Rispondendo quindi all’indirizzo di omaggio del cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, Francesco ha rivolto ancora un’esortazione: «Andate avanti, con mitezza e senza paura, avvertendo la vicinanza e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa, e soprattutto lo sguardo tenero del Signore, che non dimentica nessuno e guarda con amore ciascuno dei suoi figli». Quindi, il saluto a vescovi, sacerdoti, consacrati e consacrate e la «particolare gratitudine a quanti aiutano la Chiesa locale, sostenendola spiritualmente e materialmente», il ringraziamento al presidente e alle autorità della Mongolia e il saluto «di cuore» a fratelli e sorelle di altre confessioni cristiane e religioni con l’invito a continuare «a crescere insieme nella fraternità, come semi di pace in un mondo tristemente funestato da troppe guerre e conflitti». E ancora, il “grazie” sentito «a tutti coloro che qui hanno lavorato, tanto e da tanto tempo, per rendere bello, per rendere possibile questo viaggio, e a quanti lo hanno preparato con la preghiera».

“Eminenza, ci ha ricordato che la parola ‘grazie’ in lingua mongola deriva dal verbo ‘rallegrarsi’ – ha aggiunto il Santo Padre, rivolgendosi ancora al card. Marengo -. Il mio grazie si accorda con questa meravigliosa intuizione della lingua locale, perché è pieno di gioia. È un grazie grande a te, popolo mongolo, per il dono dell’amicizia che ho ricevuto in questi giorni, per la tua capacità genuina di apprezzare anche gli aspetti più semplici della vita, di custodire con sapienza le relazioni e le tradizioni, di coltivare la quotidianità con cura e attenzione”.
Francesco ha quindi evidenziato: “La messa è azione di grazie, ‘Eucaristia’. Celebrarla in questa terra mi ha fatto ricordare la preghiera del padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, elevata a Dio esattamente 100 anni fa, nel deserto di Ordos, non molto lontano da qui”. Il Papa ha osservato: “Questo sacerdote, spesso incompreso, aveva intuito che ‘l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso – in un certo senso –, sull’altare del mondo’ ed è ‘il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile’ (Enc. Laudato si’, 236), anche in un tempo come il nostro di tensioni e di guerre”.
E ha concluso: “Fratelli e sorelle della Mongolia, grazie per la vostra testimonianza, bayarlalaa! [grazie!]. Dio vi benedica. Siete nel mio cuore e nel mio cuore rimarrete. Ricordatemi, per favore, nelle vostre preghiere e nei vostri pensieri. Grazie”.
(G.A.)