«È la prima volta che il Successore dell’Apostolo Pietro si reca nella Repubblica della Macedonia del Nord, e sono lieto di poterlo fare nel 25° anniversario dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede, che furono stabilite pochi anni dopo l’indipendenza, avvenuta nel settembre del 1991».  È iniziato con queste parole il saluto del Papa al popolo della Macedonia, dove è arrivato questa mattina, 7 maggio, accolto dal presidente uscente Gjorge Ivanov. Proprio alla terra natale di Madre Teresa è dedicata infatti l’ultima tappa del 29° viaggio apostolico di Francesco: in tutto una decina di ore, dal primo discorso alle autorità alla visita al Memoriale di Madre Teresa – dove si è svolto anche un incontro con i poveri assistiti dalle Missionarie della Carità e con i parenti della fondatrice -, fino alla Messa in piazza Macedonia. Nel pomeriggio, due gli appuntamenti: nel centro pastorale della diocesi, con i giovani, a carattere sia ecumenico che interreligioso, e con il clero, nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù. Poi in aeroporto per la cerimonia di congedo e la partenza.

La Santa Sede, a partire dal momento in cui la Macedonia del Nord ottenne l’indipendenza, ha ricordato Francesco parlando alle autorità, «ha accompagnato con viva attenzione i passi che il Paese ha compiuto nel far progredire il dialogo e la comprensione tra le autorità civili e le confessioni religiose. Oggi la Provvidenza mi offre la possibilità di manifestare di persona questa mia vicinanza». Quindi un incoraggiamento a «proseguire fiduciosi nel cammino iniziato per fare del vostro Paese un faro di pace, di accoglienza e di integrazione feconda tra culture, religioni e popoli. A partire dalle rispettive identità e dal dinamismo della loro vita culturale e civile, essi potranno in tal modo costruire un destino comune, aprendosi alle ricchezze di cui ciascuno è portatore».

Dal pontefice è arrivato anche il riconoscimento per «il generoso sforzo compiuto dalla vostra Repubblica – sia dalle sue autorità statali sia col valido contributo di diverse organizzazioni internazionali, della Croce Rossa, della Caritas e di alcune ong – nell’accogliere e prestare soccorso al gran numero di migranti e profughi provenienti da diversi Paesi medio-orientali. Essi fuggivano dalla guerra o da condizioni di estrema povertà, spesso indotte proprio da gravi episodi bellici, e negli anni 1915 e ‘16 hanno varcato i vostri confini, diretti in massima parte verso il nord e l’ovest dell’Europa, trovando in voi un valido riparo». Una «pronta solidarietà» che «vi fa onore e parla dell’anima di questo popolo che, conoscendo anche le privazioni, riconosce nella solidarietà e nella condivisione dei beni le vie di ogni autentico sviluppo – l’omaggio di Francesco -. Auspico che si faccia tesoro della catena solidale che ha contraddistinto quell’emergenza, a vantaggio di ogni opera di volontariato a servizio di molte forme di disagio e di bisogno».

Nelle parole del Papa, l’invito a «continuare a lavorare con impegno», per essere «faro di pace, accoglienza e integrazione». Alla scuola di Madre Teresa, «voce orante dei poveri e di tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia», per il carisma della quale si è alzata la preghiera di ringraziamento di Francesco, dopo una sosta silenziosa davanti alle sue reliquie, nel Mausoleo che sorge dove una volta c’era la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, dove la santa era stata battezzata, distrutta dal terremoto. Qui sorgerà presto un santuario dedicato alla santa originaria di Skopje, di cui il pontefice ha benedetto la prima pietra, prima del trasferimento verso piazza Macedonia, luogo della Messa.

Migliaia le persone che hanno partecipato alla celebrazione. Anche a loro il pontefice ha rinnovato l’invito a mettersi «in movimento, in cammino, in uscita». Come Madre Teresa, «che ha voluto fondare la sua vita su due pilastri: Gesù incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri». Un “andare”, quello suggerito da Francesco, che implica «la capacità di lasciarci smuovere, trasformare dalla sua Parola nelle nostre scelte, nei sentimenti, nelle priorità per avventurarci a fare i suoi stessi gesti e parlare col suo stesso linguaggio, il linguaggio del pane che dice tenerezza, compagnia, dedizione generosa agli altri, amore concreto e palpabile perché quotidiano e reale».

Oggi, aveva evidenziato poco prima commentando l’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, al centro dell’omelia, «ci siamo abituati a mangiare il pane duro della disinformazione e siamo finiti prigionieri del discredito, delle etichette e dell’infamia; abbiamo creduto che il conformismo avrebbe saziato la nostra sete e abbiamo finito per abbeverarci di indifferenza e di insensibilità; ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione, chiusura e solitudine; ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà».  Di qui l’esortazione: «Diciamolo con forza e senza paura, abbiamo fame di pane, Signore: del pane della tua parola e del pane della fraternità».

A questa fame, ha assicurato Francesco nella conclusione, offre soddisfazione il Risorto che « continua a camminare in mezzo a noi, là dove passa e si gioca la vita quotidiana». È lui che «conosce la nostra fame e ci dice ancora: “Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete”. Incoraggiamoci a vicenda ad alzarci in piedi e a sperimentare l’abbondanza del suo amore; lasciamo che Egli sazi la nostra fame e sete nel sacramento dell’altare e nel sacramento del fratello», l’appello del Papa.

7 maggio 2019