Francesco in Iraq: «Essere qui, un dovere verso una terra martoriata»

Primo Papa in visita nel Paese, si è recato anzitutto nella nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove nel 2010 furono uccisi 48 cristiani

«Un dovere verso una terra martoriata da tanti anni». Papa Francesco ha usato queste parole per definire, nel colloquio con i giornalisti, il suo viaggio apostolico in Iraq, che si conclude oggi, 8 marzo, con l’arrivo in programma alle 13 all’aeroporto di Ciampino. Un viaggio – il 33° del suo pontificato – nella «culla della civiltà strettamente legata, attraverso il patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza e alle grandi tradizioni religiose dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam», ha detto esprimendo la sua gratitudine. E subito, dal palazzo presidenziale di Baghdad, il saluto affettuoso alla comunità cattolica: «Vengo come pellegrino per incoraggiarli nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società irachena. Saluto anche i membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, gli aderenti all’Islam e i rappresentanti di altre tradizioni religiose – ha proseguito il Papa -. Dio ci conceda di camminare insieme, come fratelli e sorelle – l’auspicio – nella forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune».

Sulla scorta del documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, Francesco ha ribadito con forza che «il nome di Dio non può essere usato per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. La religione, per sua natura – ha aggiunto -, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia. Anche in Iraq – ha assicurato – la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace». Il Papa ha ricordato quindi «l’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese»: una «ricca eredità – l’ha definita – che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese».

La prima tappa del viaggio del pontefice: la cattedrale siro-cattolica di Baghdad, luogo del suo secondo discorso in Iraq. Luogo simbolo delle ferite e del dolore di una Chiesa martire: qui infatti il 31 ottobre 2010 durante la Messa 48 fedeli cristiani sono stati uccisi in un attentato dei miliziani dell’Isis, tra cui due nostri giovani sacerdoti, e molti sono rimasti feriti. Lo ha ricordato, salutando Francesco nel suo ingresso nella cattedrale, il patriarca di Antiochia dei Siri Ignazio Youssef III Younan. «I 48 martiri massacrati durante la celebrazione della Divina Liturgia domenicale, proprio in questa cattedrale dieci anni fa, hanno mescolato il loro sangue con quello dell’Agnello, per testimoniare ai loro fratelli oppressi, uccisi o sradicati, in Iraq e nel Vicino-Oriente, che Gesù stesso, Dio Salvatore, continuerà come ha promesso, a vivere in loro», ha detto. A pronunciare il discorso di benvenuto, il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael Sako, presidente dell’assemblea dei vescovi cattolici dell’Iraq, che ha ripercorso, a grandi linee, la storia della presenza dei cristiani nel Paese. «Oggi – ha detto – siamo una minoranza viva e attiva e abbiamo contribuito alla costruzione dell’Iraq e allo sviluppo della sua cultura. In questi ultimi anni siamo stati sottoposti a molte difficoltà, pericoli e persecuzioni e la migliore testimonianza è questa cattedrale dei siriani cattolici in cui siamo riuniti, che è stata oggetto di un bombardamento criminale il 31 ottobre 2010».

Nell’agosto 2014, ha ricordato ancora il cardinale, «l’Isis ha fatto fuggire tutti i 120mila  cristiani dalla piana di Ninive e da Mossul, e ringraziamo Dio per il fatto che queste aree sono state liberate nel 2017 e 50% dei loro abitanti sono tornati. Nonostante ciò che ci ha colpito e il nostro dolore, abbiamo preservato la fede, la nostra serenità spirituale e la nostra solidarietà fraterna, e tutte le chiese hanno fatto un grande lavoro per stare accanto alle persone danneggiate, per aiutarle e alleviare il loro dolore», ha aggiunto. E dal Papa è arrivato un incoraggiamento a «perseverare, al fine di garantire che la comunità cattolica in Iraq, sebbene piccola come un granello di senape, continui ad arricchire il cammino del Paese nel suo insieme. Le difficoltà fanno parte dell’esperienza quotidiana dei fedeli iracheni – ha osservato -. Negli ultimi decenni, voi e i vostri concittadini avete dovuto affrontare gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo».  Di qui il grazie del Papa ai «fratelli vescovi e sacerdoti» per «essere rimasti vicini al vostro popolo, sostenendolo, sforzandovi di soddisfare i bisogni della gente e aiutando ciascuno a fare la sua parte al servizio del bene comune. L’apostolato educativo e quello caritativo delle vostre Chiese particolari – l’omaggio di Francesco – rappresentano una preziosa risorsa per la vita sia della comunità ecclesiale sia dell’intera società».”.

Il pontefice ha ricordato anche i «nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa cattedrale dieci anni fa e la cui causa di beatificazione è in corso», insieme a «tutte le vittime di violenze e persecuzioni, appartenenti a qualsiasi comunità religiosa. La loro morte – ha detto – ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi». La religione «deve servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio». Nelle parole di Francesco quindi il grazie a vescovi, clero e catechisti «per il vostro impegno di essere operatori di pace, all’interno delle vostre comunità e con i credenti di altre tradizioni religiose, spargendo semi di riconciliazione e di convivenza fraterna che possono portare a una rinascita di speranza per tutti». E il pensiero è andato anzitutto ai giovani, che «ovunque sono portatori di promessa e di speranza, e soprattutto in questo Paese. Sono il vostro tesoro e occorre prendersene cura, alimentandone i sogni, accompagnandone il cammino, accrescendone la speranza. La vostra testimonianza, maturata nelle avversità e rafforzata dal sangue dei martiri, sia una luce che risplende in Iraq e oltre», l’augurio del pontefice per questa «terra così strettamente legata alla storia della salvezza».

Al termine, la firma nel Libro d’onore: «Penitente e pellegrino di fede e di pace in Iraq, invoco da Dio per questo popolo, con l’intercessione della Vergine Maria, la forza di ricostruire insieme il Paese nella fraternità».

8 marzo 2021