Francesco: “Fratelli tutti” perché figli di un unico Creatore

Il Papa ha firmato ad Assisi la sua terza enciclica. L'analisi del mondo contemporaneo e la condanna di "globalismo" e "populismo": «Problemi globali esigono azioni globali». Le strade da seguire: «Benevolenza» e «solidarietà»

«Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni. Negli ultimi anni ho fatto riferimento ad esse più volte e in diversi luoghi». Papa Francesco motiva così l’enciclica “Fratelli tutti” che ha firmato sabato 3 ottobre sulla tomba del Poverello di Assisi. Siamo tutti fratelli perché figli di un unico Creatore, tutti sulla stessa barca. Il riferimento, anche nel titolo, resta san Francesco, come nel caso della Laudato si’, ma se nella precedente enciclica “verde” l’ispiratore era stato il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, questa volta il pontefice si richiama esplicitamente al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb e all’incontro di Abu Dhabi che ha portato alla firma del Documento sulla fratellanza. L’enciclica, che il Papa non esita a definire sociale, «raccoglie e sviluppa grandi temi esposti in quel Documento» ed è rivolta a tutti. Ineludibile il riferimento alla pandemia, che «proprio mentre stavo scrivendo questa lettera, ha fatto irruzione in maniera inattesa» e che dimostra come nessuno può salvarsi da solo.

Il Papa fa un’analisi del mondo contemporaneo e torna a condannare il «”globalismo” di una economia e di una finanza che puntano solo «alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi. I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni». Una «colonizzazione culturale» inaccettabile. Il Papa condanna anche una politica «polarizzata», basata sulla contrapposizione e lo scontro che «non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace». Un progetto con grandi obiettivi oggi «suona come un delirio» e la prospettiva di questa corsa insensata rischia di essere quella di nuove guerre.

Francesco insiste sugli «scarti globali» che possono assumere forme diverse come razzismo, povertà, tratta, anziani abbandonati, donne abusate e costrette ad abortire, uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù. Ma si sofferma anche sulle altre storture: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; la disoccupazione. Problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea il Papa, lanciando l’allarme anche contro una «cultura dei muri» che favorisce il proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine. «Non si dovrebbe ingenuamente ignorare – ammonisce Francesco – che “l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca”. Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia».

Il pontefice critica anche i populismi e le reazioni di fronte al fenomeno migratorio, a cui dedica parte del secondo e il quarto degli otto capitoli. Ma se richiama a un’accoglienza che ponga al centro la persona umana, ribadisce con forza, citando Benedetto XVI, anche il diritto a non emigrare e a «essere in condizione di rimanere nella propria terra». E nel quinto capitolo, dedicato alla politica, parla di tutela del lavoro e dei diritti fondamentali. Da sottolineare il richiamo al diritto all’intimità: il Papa critica il moderno voyeurismo digitale, fatto di apparente socializzazione che dissimula individualismo e spesso ha come conseguenza un’aggressività senza pudore.

A un quadro non certo luminoso il Papa fa seguire pagine di speranza. Riprendendo la figura del Buon Samaritano, Francesco ricorda che l’amore costruisce ponti ed esorta a «uscire da noi stessi» per trovare negli altri «un accrescimento di essere. Il paradosso – aggiunge – è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti». E invita a rimboccarci le maniche: «Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite». Il pontefice spiega che l’uguaglianza «non si ottiene definendo in astratto che tutti gli esseri umani sono uguali, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli». E invita a promuovere il bene morale per permettere a tutti di dare il meglio di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal rispetto per la sua «missione educativa primaria e imprescindibile».

Due, in particolare, gli “strumenti” per realizzare questo tipo di società: la benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro, e la solidarietà che ha cura delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze. In particolare il Papa, ricordando che «il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati», sottolinea che «il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno», a prescindere da dove sia nato. Il Santo Padre auspica anche che il debito estero, pur da restituire, non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri.

La voce del Papa si alza di nuovo nel reclamare, accanto al diritto di emigrare, quello di «piena cittadinanza», rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze”, che vale tanto per i Paesi occidentali come per quelli orientali. Ancora: Francesco contrappone al populismo un «popolarismo» che intende il popolo come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo e richiama l’importanza dei movimenti popolari. Sul piano internazionale, auspica una riforma dell’Onu di fronte al predominio della dimensione economica e il totale rifiuto della guerra, compresa quella “giusta”. Infine, un forte appello all’abolizione della pena di morte. Il pontefice dedica infine l’ultimo capitolo alla libertà religiosa e ribadisce che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose bensì nelle loro deformazioni. Atti “esecrabili” come quelli terroristici, dunque, non sono dovuti alla religione ma ad interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione. Infine, ricorda che la Chiesa non relega la propria missione nel privato, ai margini della società e, pur non facendo politica, non rinuncia alla dimensione politica dell’esistenza. L’enciclica si chiude quindi con il ricordo di Martin Luther King, Desmond Tutu, Gandhi e del beato Charles de Foucauld, insieme a due preghiere, una al Creatore e una ecumenica.

5 ottobre 2020