Francesco e le carceri, don Grimaldi: «Non dimenticheremo i suoi gesti profetici»
L’ispettore generale dei cappellani ricorda la sua attenzione agli ultimi: «Ha voluto dire all’umanità tutta che questa porzione di popolo ha bisogno di riscatto, di essere accolta, di non essere giudicata»
Non ha voluto far mancare, anche nel suo ultimo Giovedì Santo, benché sofferente, la sua presenza accanto ai detenuti della casa circondariale di Regina Coeli, per dire ancora una volta al mondo, alla società tutta, di non condannare, di non puntare il dito verso chi ha sbagliato e di offrire sempre possibilità di recupero. Papa Francesco ha avuto sempre a cuore i detenuti. Tanti i gesti profetici compiuti, come l’apertura della Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, che ha segnato un momento storico nella storia dei Giubilei ordinari. Infatti, è stata la prima volta in cui, oltre alle Porte Sante che, come abitualmente accade, sono state aperte nelle quattro basiliche papali romane, ne è stata aperta una anche in un penitenziario. Della vicinanza di Papa Francesco ai detenuti parliamo con don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane.
Papa Francesco ha sempre acceso i riflettori sul mondo carcerario.
Fin dall’inizio del suo ministero petrino ha voluto segnare il suo impegno pastorale stando accanto agli ultimi, a chi non ha voce. Questa esperienza già l’aveva vissuta nel suo ministero episcopale a Buenos Aires: ha voluto continuare questa sua opera accanto ai poveri, agli ultimi anche da pontefice. Come sacerdote e ispettore dei cappellani nelle carceri italiane, sono grato a Papa Francesco per tutte le volte che ha indicato il carcere come luogo di riscatto e che ha mostrato che bisogna avere a cuore i detenuti e aiutarli a rialzarsi, dando loro fiducia. Papa Francesco, tutte le volte che è andato a visitare i detenuti nelle carceri, non solo italiane, ma anche all’estero, ha voluto esprimere questa vicinanza della Chiesa, dicendo che non condanniamo, non puntiamo il dito, ma invitando i detenuti a credere nell’infinita misericordia di Dio.
Incontrando i detenuti il Papa ha sempre detto di chiedersi: “Perché voi e non io?”. Cosa ci dice questo?
Il Papa andando a visitarli donava ai detenuti una speranza viva. E la sua domanda “Perché voi e non io?” ci fa pensare che entrare in carcere, purtroppo, oggi può essere facile. Tanti detenuti sono entrati in carcere anche per piccoli reati, per i quali ci sarebbe potuto essere anche l’affidamento ai servizi sociali. Le parole di Francesco ci fanno anche capire che il carcere è un luogo di frontiera con il quale la pastorale della Chiesa continuamente si confronta.
La grande attenzione del Papa al mondo delle carceri è anche testimoniata dalla sua scelta di aprire nel carcere di Rebibbia la seconda Porta Santa per il Giubileo.
Il Giubileo che stiamo celebrando abbraccia tutti: i malati, i poveri, il popolo di Dio, i preti, i vescovi. Il Papa ha voluto inserire in questo abbraccio di fede e speranza anche i detenuti, che ha portato sempre nel cuore. Francesco ha voluto compiere un gesto profetico aprendo una Porta Santa nel carcere di Rebibbia. È una Porta che si spalanca all’interno e all’esterno: fa entrare la società dentro, ma permette anche ai detenuti che vogliono riscattarsi di uscire fuori e di essere accolti nella società.
Papa Francesco ha anche amato compiere il gesto della lavanda dei piedi con i detenuti il Giovedì Santo e quest’anno, che non ha potuto farlo per le sue condizioni di salute, comunque è andato a Regina Coeli a visitare i detenuti. Anche questo un segno di quell’attenzione particolare che ha avuto verso i ristretti.
Papa Francesco, in questi anni, ha scelto di celebrare la Messa in Coena Domini non nella basilica di San Pietro, ma in diverse carceri italiane per vivere questo gesto, che non è un rito vuoto. Lavando i piedi ai detenuti, il Santo Padre ha voluto dire agli uomini di oggi e alla Chiesa intera che la missione della Chiesa è servire: come diceva anche don Tonino Bello è “la Chiesa del grembiule”, la Chiesa che si china davanti alle povertà. Papa Francesco chinandosi davanti ai detenuti ci ha fatto capire che non ci può essere disprezzo verso coloro che hanno sbagliato, non dobbiamo puntare il dito né emarginare. Chinandosi sui piedi dei detenuti e lavando loro i piedi, Francesco ci ha ricordato che la Chiesa è al servizio degli ultimi e dei poveri. Dal primo momento ha detto che il suo sogno era una Chiesa povera per i poveri. E ha dato concretezza a questo con i suoi gesti profetici di cui ha disseminato il suo pontificato.
Come si sta vivendo in carcere la morte di Papa Francesco?
Innanzitutto a Regina Coeli, l’ultimo carcere visitato da Papa Francesco, pochi giorni prima della sua scomparsa, si sta vivendo una grande tristezza: i detenuti hanno capito che il Papa andando da loro ha voluto dare un ultimo abbraccio a tutti i detenuti del mondo. Come poi ha fatto il giorno di Pasqua quando ha voluto abbracciare tutta l’umanità, con la benedizione Urbi et Orbi ha voluto far sentire la sua presenza e la sua vicinanza al mondo intero anche negli ultimi momenti della sua vita terrena. I detenuti di tutte le carceri hanno sentito la sua vicinanza paterna e per questo avvertono il dolore del distacco. Ma i gesti di Papa Francesco verso il mondo del carcere sono stati così forti e profetici che sono anche una preziosa eredità per il suo successore e per il mondo intero. Papa Francesco ha segnato una grande rotta per la Chiesa: una grande strada maestra, la strada del Vangelo.
Ci saranno dei momenti di preghiere negli istituti penitenziari?
I cappellani stanno già celebrando Eucaristie e promuovendo momenti di preghiera con i detenuti e il personale delle carceri. Anche attraverso la preghiera resta vivo il ricordo di Papa Francesco.
Qual è la sua eredità per il mondo carcerario?
Il pontefice, incontrando spesso i detenuti, ha voluto dire ai governi, alla Chiesa, all’umanità tutta che questa porzione di popolo ha bisogno di riscatto, di essere accolta, di non essere giudicata. Per tutti noi che operiamo nel mondo del carcere e per gli stessi detenuti Papa Francesco resterà non solo un profeta della pace, ma un successore di Pietro che ha fatto degli ultimi il senso della sua vita e del suo impegno pastorale. (Gigliola Alfaro)
24 aprile 2025