Francesco al presidente del Rwuanda: dolore per il genocidio

L’udienza a Paul Kagame e la richiesta di perdono a Dio per le mancanze della Chiesa e dei suoi membri che hanno ceduto all’odio e alla violenza

L’udienza a Paul Kagame e la richiesta di perdono a Dio per le mancanze della Chiesa e dei suoi membri che hanno ceduto all’odio e alla violenza

Da una parte il dolore per il genocidio dei Tutsi, dall’altra la richiesta di perdono a Dio per «i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica». Sono questi gli elementi che hanno caratterizzato l’udienza di ieri, 20 marzo, tra Papa Francesco e il presidente del Rwanda Pail Kagame, che successivamente ha incontrato anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

A darne notizia, un comunicato diffuso dalla Sala stampa della Santa Sede. Durante i colloqui, si legge nel testo, sono state ricordate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Rwanda e si è apprezzato il cammino di ripresa per la stabilizzazione sociale, politica ed economica del Paese. Rilevata anche la collaborazione tra lo Stato e la Chiesa locale nell’opera di riconciliazione nazionale e di consolidamento della pace a beneficio dell’intera nazione. È in questo contesto che Francesco ha manifestato il «profondo dolore», suo, della Santa Sede e della Chiesa, per il genocidio contro i Tutsi e ha espresso solidarietà alle vittime e a quanti continuano a soffrire le conseguenze di quei tragici avvenimenti. Quindi, in linea con il gesto compiuto da Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000, ha rinnovato la richiesta di perdono a Dio «per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica». Mancanze, le loro, che «hanno deturpato il volto della Chiesa».

L’auspicio di Francesco è che questo riconoscimento contribuisca, anche alla luce del recente Anno Santo della Misericordia e del comunicato pubblicato dall’episcopato rwandese in occasione della sua chiusura, a «purificare la memoria» e a promuovere con speranza e rinnovata fiducia un futuro di pace, testimoniando che «è concretamente possibile vivere e lavorare insieme quando si pone al centro la dignità della persona umana e il bene comune».

Secondo i dati raccolti all’epoca dall’Agenzia Fides, nel genocidio del 1994 furono registrate 248 vittime tra gli operatori pastorali della Chiesa, compresi una quindicina di morti in seguito a maltrattamenti, mancanze di cure mediche e scomparse. Hanno perso la vita in Rwanda nel 1994 3 vescovi e 103 sacerdoti (100 diocesani di tutte le diocesi e 3 Gesuiti), 47 fratelli di 7 istituti (29 Giuseppini, 2 Francescani, 6 Maristi, 4 fratelli della Santa Croce, 3 fratelli della Misericordia, 2 Benedettini e 1 fratello della Carità).
Le 65 religiose appartenevano ad 11 istituti: 18 suore Benebikira, 13 suore del Buon Pastore, 11 suore Bizeramariya, 8 suore Benedettine, 6 suore dell’Assunzione, 2 suore della Carità di Namur, 2 domenicane Missionarie d’Africa, 2 figlie della Carità, 1 rispettivamente delle Ausiliatrici, di Notre Dame du Bon Conseil e delle Piccole sorelle di Gesù. Ad esse vanno aggiunte almeno 30 laiche di vita consacrata di 3 istituti: 20 Ausiliarie dell’Apostolato, 8 dell’istituto “Vita et Pax” e 2 dell’istituto San Bonifacio.

21 marzo 2017