Fragilità e solidarietà, cosa resta dopo il lockdown
L’analisi dei dati del questionario a utenti o contatti del consultorio diocesano sull’esperienza della pandemia. La speranza di un recupero della “normalità”
Nei mesi di maggio e giugno sono state raccolte le impressioni derivate dal recente periodo di lockdown in un ampio campione di persone che conoscono, frequentano o fanno riferimento al nostro consultorio. Si è voluto così imprimere un segno nell’intento di mettere a frutto anche un’esperienza innegabilmente traumatica sul piano psicologico, familiare e sociale, che ha sicuramente messo in discussione gli stili di vita e gli stessi principi su cui si fondano.
Si sa come sia difficile accettare di analizzare le esperienze spiacevoli, si è invece registrata una consistente partecipazione all’invito lanciato dal consultorio: segno di un diffuso desiderio di “ritrovarsi”, di ritornare alla normalità, ciò che echeggiava in maniera quasi ossessiva durante tutto il periodo di confinamento nelle proprie abitazioni. Quell’«andrà tutto bene» che risuonava come un mantra, appeso a finestre e balconi a mo’ di amuleto, ripetuto fino all’esasperazione per esorcizzare l’esasperazione stessa.
Dai dati raccolti si delinea un percorso in cui hanno netta prevalenza le forze centripete, la tendenza costante a convergere verso gli elementi unificanti. Così avviene per la diffusa preoccupazione per parenti ed amici lontani, chissà quante le raccomandazioni giornaliere a nonni, zii, persone care, affinché si attenessero con scrupolo alle misure igieniche (come non bastasse il martellamento degli spot televisivi!). Forte condivisione si osserva anche nell’atteggiamento di ottimismo rispetto al lavoro grazie allo smart working, espressione divenuta subito abituale perché ha rappresentato la svolta per salvaguardare l’attività lavorativa pur rimanendo a casa. Mentre per gli studenti si è tradotto in DaD (Didattica a Distanza), cioè la possibilità di riunirsi online, in aule virtuali, in cui sperimentare anche qualche… scherzetto tecnologico! Ma soprattutto mezzo per non sentirsi soli, accuditi dai propri docenti a volte più che nella lezione frontale.
Si giunge poi alla comune sorpresa di “riscoprire” il proprio ambiente domestico e di avere più tempo per prendersi cura degli spazi, dei familiari, di se stessi. E tutto ciò è avvenuto nonostante si avvertisse spesso la sensazione di “essere ingabbiati”, in quanto condizione coatta, con il conseguente stravolgimento delle routine che si svolgono fuori di casa, e l’obbligo di sottostare alle decisioni dell’autorità… la qual cosa ha riattivato una naturale tendenza a mettere in discussione: “Sì, però!”. Perché, in fondo, un ricordino dell’Io adolescente ce lo portiamo gelosamente dietro. Piuttosto, si può dire che siamo stati bravi, anche dando spazio alla creatività nella gestione del tempo di clausura. C’è chi, per esempio, si è dilettata a mettere a frutto le proprie competenze matematiche, essendo già stata insegnante nelle scuole dell’obbligo, costruendo dei divertenti video basati sull’approccio ai numeri nella vita di tutti i giorni, per poi postarli su YouTube.
Sul piano emotivo, nella miscellanea di sensazioni che sono state riportate, hanno prevalso la responsabilità, seppur nella fatica per gestire questa condizione inabituale, e la solidarietà, con lo sguardo attento verso chi si è trovato in difficoltà, siano esse economiche, sociali o psicologiche. Ma c’è anche una piccola percentuale di coloro che si sono realmente sentiti soli, forse perché non sempre ci si accorge del prossimo depresso o isolato. Questo è un dato che non può che interrogarci. La ricerca di informazioni ha occupato uno spazio fondamentale nella prima fase dell’emergenza, ed è singolare osservare come il riferimento prevalente siano stati i comunicati del Governo, in parallelo a quelli della Protezione Civile e degli specialisti (che in alcuni casi hanno fatto a gara per uno spazio nei salotti televisivi!). Ci ritroviamo così ad analizzare il nostro rapporto con i mezzi tecnologici, che si è sviluppato soprattutto ai fini lavorativi e di studio: molti hanno dovuto affinare conoscenze su procedimenti e terminologie che prima nemmeno ritenevano di poter acquisire. Molti si sono avvalsi di internet e dei social, con un incrementato interesse verso questi strumenti di comunicazione.
Alla conclusione del nostro percorso, i partecipanti dichiarano il senso di fiducia verso il consultorio, il riconoscimento di competenza nei vari tipi di servizi offerti, e affermano di sapere di poter contare sugli operatori incontrati. Le aspettative, di riflesso, sono: che gli operatori sappiano cosa fare; che “tutto torni come prima”. In questa espressione si legge non solo l’attesa del tempo in cui il consultorio possa riattivarsi a pieno ritmo, ma ancor più la speranza che presto avvenga un recupero della “normalità”, quella che ci è stata strappata dall’evento della pandemia. Allo stesso modo, le immagini rappresentative che prevalgono sono da un lato quella del distanziamento e della fragilità, cui si contrappone l’icona della solidarietà nell’affrontare le emergenze, con una catena di braccia che, come segno tangibile di fede, speranza e carità, si protendono nell’aiuto reciproco. (Roberto Rossi, neuropsichiatra infantile)
27 luglio 2020