“Foxcatcher”, ritratto dell’America anni ’80

Nella pellicola di Bennett Miller un racconto spietato che è anche preciso atto d’accusa contro l’uso sconsiderato delle armi a titolo personale

Nella pellicola di Bennett Miller un racconto spietato che è anche preciso atto d’accusa  contro l’uso sconsiderato delle armi a titolo personale

Alla recente edizione dei Premi Oscar si era presentato con tre candidature “di peso”: migliore regia, migliore attore protagonista, migliore attore non protagonista. Nessuno di questi ha portato a casa la tanto attesa statuetta, ma si sa che i verdetti dei giurati dell’Academy seguono logiche spesso difficili da comprendere. I tre ruoli sopra nominati sono infatti di notevole livello e rendono forte e interessante il film Foxcatcher. Una storia americana, in uscita nelle sale dallo scorso fine settimana.

La storia prende il via mostrandoci due fratelli: il più grande, David, già vincitore della medaglia d’oro nella lotta libera alle Olimpiadi di Los Angeles 1984; il più giovane Mark, con una carriera avviata nella stessa specialità agonistica. Un giorno Mark, ragazzone dal carattere debole e insicuro, riceve un invito a presentarsi nella grande villa di John du Pont, ereditiere di una ricca famiglia, che ha organizzato nella propria tenuta una palestra per formare una squadra di lottatori. L’obiettivo è partecipare alle successive olimpiadi di Seul 1988 e arrivare ancora alla medaglia d’oro. E qui l’atleta designato è proprio Mark. Costui accetta subito l’offerta, intuendovi la possibilità di affrancarsi dalla presenza di David, che ha sempre esercitato su di lui una sorta di tutela. Quando però il rapporto tra Mark e du Pont si guasta, il padrone di casa chiama proprio David e gli affida la responsabilità degli allenamenti. Al punto che David si trasferisce a sua volta nella villa insieme alla moglie e ai due figli adolescenti.

Sembrano ottime premesse, ma qualcosa non va come doveva. Alle Olimpiadi Mark inciampa in prestazioni poco convincenti che si traducono nell’esclusione dal podio. Al ritorno in America, una mattina, du Pont arriva con la macchina vicino alla casa di David. Lo vede e gli spara a bruciapelo, uccidendolo. Poco dopo viene arrestato dalla polizia, mentre la moglie Nancy è ancora in lacrime vicino al corpo del marito, affranta e incredula. I fatti sono autentici, e du Pont è ancora oggi in carcere. Ma sono fatti che resterebbero neutri e solo terribili, se la regia di Bennett Miller non li rivestisse di un’angoscia visionaria agghiacciante. Specchio vero e quanto mai pertinente di un’America anni Ottanta che viveva sull’orlo di una crisi nervosa permanente. Ritratto spietato di un ricco incapace di gestire vita pubblica e privata (il rapporto con la madre) e di un ragazzone buono e debole che nessuno ha saputo aiutare a crescere. Atto d’accusa preciso anche contro l’uso sconsiderato delle armi a titolo personale. Film coinvolgente, con molti spunti di riflessione.

16 marzo 2015