«Forte come la morte è l’amore»: il richiamo del “Cantico”

Dire che che il bene controbilanci esattamente il peso del male a volte è un peso intollerabile, pur essendo parola che continua a stare lì, a interrogarci. Forse a salvarci

Quando si porta in classe il primo canto dell’Inferno, a un certo punto arriva la prima similitudine celebre: quella che accosta colui che ha appena rischiato di affogare, e si volge dalla riva verso il mare, a Dante che sta guardando la selva, dalla quale temporaneamente si illude di essersi messo in salvo (vv. 22-27). In genere la si liquida con poche parole, magari si spiega di nuovo come funziona una similitudine con un esempio stupido, si dice che quella figura retorica, tanto semplice quanto di tutti, nella Commedia sarà elevata a forma d’arte assoluta. E così ho fatto anche io l’altro giorno, ma così ho giusto portato a casa la lezione con il mestiere. Lo dico perché, mentre tornavo da solo in macchina, ho pensato che avrei dovuto avere più coraggio. Avrei dovuto dirglielo subito, senza troppe cautele, quale sia per quanto mi riguarda la similitudine più grande di tutte, ma che non sta nella Commedia, anche se è altrettanto celebre, ed è scritta nel libro biblico del Cantico dei cantici: «Perché forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6).

In classe, ché l’esempio stupido poi l’avevo fatto, avevo spiegato che se dico «Luca è veloce come una lepre» lo dico perché sono certo dell’evidenza che la lepre sia veloce, e questo lo sanno tutti, è un dato certo, condiviso. Così, accostando la lepre a Luca, posso informare chi mi ascolta con un nuovo elemento, che è fondato grazie alla similitudine, ovvero che Luca è veloce. Ma quale sarebbe il dato, condiviso, certo, che sanno tutti nella similitudine del Cantico? È evidente: il dato è che la morte è forte, fortissima, e questo davvero lo sappiamo tutti. La morte che non ci spieghiamo, ma anche e soprattutto il morire che ne è premessa storica, ovvero la mia stanchezza di adesso, quella tua che stai leggendo, i mostri che qualche studente aveva dentro in classe mentre faceva finta di ascoltarmi, il trascinarsi di certe giornate, una reazione che non abbiamo capito, le domande appese di una vita, i nostri corpi che passano, tutti i pesi del mondo, l’eterna e spossante inerzia verso il basso. Ecco, questo tutti lo sappiamo: la forza della morte e del morire la conosciamo, da quando veniamo al mondo, con certezza; tutti la conosciamo.

Proprio per questo però, con la sua similitudine, il poeta del Cantico dice una cosa che è uno squillo nel silenzio. Stabilisce un’evidenza, ovvero che l’amore, la forza opposta a quella morte e a quel morire che sappiamo tutti, è altrettanto forte, è la stessa cosa, come la lepre e Luca, come il naufrago e Dante. Come a dire che per affermare quanto sia onnipotente la forza di quell’amore sia possibile mostrarlo solo attraverso l’esempio più evidente di cui ognuno di noi ha contezza naturale: la sua corrispondenza ed equivalenza, in termini di forza, con la morte. Ma a pensarci bene, dire che l’amore è forte quanto la morte, che il bene controbilanci esattamente il peso del male, a volte è per tutti noi un peso intollerabile, così come io ieri in classe mi sono ritrovato a non saperlo raccontare, pur essendo parola che continua a stare lì, a interrogarci, forse a salvarci.

28 settembre 2022