Fiorella Mannoia festeggia in musica i suoi 60 anni

La cantante romana, che si esibirà il 27, 28 e 29 dicembre all’Auditorium Parco della Musica, racconta a Romasette.it il suo percorso iniziato a 14 anni a Castrocaro. «Sul palco ripercorro la mia carriere. Potrebbero venire a trovarmi degli amici»

Tra i tanti aggettivi con cui potremmo descrivere Fiorella Mannoia, forse quello più azzeccato è “rassicurante”: lo è la sua voce, che quando la senti pensi che come interpreta le canzoni lei, nessun’altra; lo è la sua presenza in auditorium, palazzetti, club di tutta Italia, con i suoi concerti sempre pieni di pubblico affezionato, e date che, a grande richiesta, si aggiungono al già fitto calendario (14 date in 28 giorni solo a dicembre; a Roma triplo appuntamento il 27, 28 e 29 all’Auditorium Parco della Musica); lo è lei in tutta la sua persona, non solo fuori (a 60 anni ha ancora lo slancio da controfigura dei film “spaghetti western” che ha girato nei primi anni Settanta e i suoi riccioli rossi), ma anche dentro. Fiorella Mannoia usa bene la sua voce (e ora i social networks) anche per dire la sua su questioni politiche, sociali e umanitarie. Da anni è impegnata in diverse cause, da Emergency, al Progetto Fondazione Axé fino a Amref, la campagna contro la mortalità materna in Africa. Alcune volte si può non essere d’accordo con lei, ma le vanno riconosciute coerenza e trasparenza, che non è poco.

Oltre che rassicurante, ora è anche “antologica”: per i 60 anni infatti, si è – e ci ha – regalato un doppio cd “Fiorella”, con chicche davvero preziose. Nel primo cd sono condensati quarantasei anni di carriera in sedici brani, in ordine cronologico, da “Pescatore” a “Come si cambia”, da “Quello che le donne non dicono” a “Il cielo d’Irlanda”, da “Sally” fino alla recente “In viaggio”. C’è, inoltre, un inedito scritto da lei “Le parole perdute” e musicato da Bungaro/Chiodo, di grande impatto. Il secondo disco la vede reinterpretare celebri brani e duettare con prestigiosi nomi del panorama musicale italiano. Due le donne che la affiancano: Laura Pausini nella celebre “Quello che le donne non dicono” e Dori Ghezzi per “Khorakhanè”. Poi una sfilza di grandi nomi del panorama italiano: Claudio Baglioni in “Amore bello”, Franco Battiato in “La stagione dell’amore”, Pino Daniele in “Senza ‘e te”, Ivano Fossati in “C’è tempo”, Ligabue “Metti in circolo il tuo amore”, Tiziano Ferro in “La paura non esiste”, Daniele Silvestri in “Il fiume e la nebbia”, Niccolò Fabi in “Mimosa”, Giuliano Sangiorgi, in “Estate” e Cesare Cremonini, in “Le tue parole fanno male”. E, ancora, Frankie HI-NRG in “Boogie”, e Pau dei Negrita in “Ho imparato a sognare”. C’era, invece un duetto con Renato Zero, “Cercami”, ma l’anno sentito solo quelli che hanno comprato subito l’album prima che venisse ristampato senza questo brano, a causa di pendenze legali tra Zero e la casa discografica. C’è però un omaggio a Lucio Dalla, di cui interpreta “Il parco della Luna” e, su tutti, il duetto con Adriano Celentano, in “Un bimbo sul leone”, brano che ha segnato l’inizio della carriera della Mannoia a 14 anni a Castrocaro.

Che ricordi hai della Fiorella quattordicenne a Castrocaro?

Castrocaro è stato il mio Sessantotto. Avevo solo 14 anni. Scelsi questo brano di Celentano perché mi emozionava già da allora e non ho mai avuto paura di cantare canzoni altrui: quando emozionano la firma non conta. Da lì sono passati anni di tentativi e di esperimenti prima di trovare veramente la mia strada dal punto di vista musicale.

Sembra facile fare un’antologia di canzoni, invece…

Invece è faticoso come un intenso viaggio. Questo doppio album è il mio viaggio nella migliore musica italiana, un coronamento del mio lavoro, con la benedizione laica di tutti coloro che hanno scritto per me. Il duetto con Adriano Celentano è stato un regalo inaspettato, che mi ha lusingata, considerando che non ne faceva dai tempi di Mina. Quello che mi sta più a cuore, invece, è con Dori Ghezzi, che non ha mai voluto partecipare a progetti che riguardassero Fabrizio De Andrè. In generale, amo duettare. Per me è un modo per mettermi in gioco. Non dovremmo mai chiuderci in noi stessi e ripeterci all’infinito. E poi, nell’album, ci sono tutti gli amici di questi anni, non potevo desiderare di meglio. A questo punto del mio percorso, sento di avere davanti a me uno splendido passato, e sicuramente arriveranno ancora nuovi inediti e nuovi concerti.

Che effetto ti fa sentire sempre il boato del pubblico che canta con te?

“Quello che le donne non dicono” nonostante abbia 30 anni mi commuove ancora quando è intonata da nonne, mamme e nipoti. É un brano che va oltre le generazioni: una delle soddisfazioni maggiori per chi fa il mio mestiere.

Come saranno i concerti di Roma?

Sul palco ripercorro la mia carriera e con Antonio Grimaldi, lo stilista che mi veste, ci siamo divertiti a creare i look dell’epoca. Con ironia, perché deve essere una festa, non un’autocelebrazione. Potrebbero venirmi a trovare degli amici, ma non posso ancora svelare niente.

Quali parole vorresti ritrovare -per parafrasare la tua canzone – come regalo per i 60 anni?

La cosa che non mi va più di fare è perdere tempo, perché il tempo alla mia età è un bene prezioso. Perciò la parola che vorrei ritrovare è “no”. Non voglio più dire di sì quando vorrei dire di no. A 60 anni ormai posso ampiamente permettermi di dire quello che penso.

12 dicembre 2014